Saggi sull’educazione cristiana (II). Non c’è educazione senza antitesi
“Quando i fondamenti sono rovinati, cosa può fare il giusto?”(Salmo 11,3).E’ a una domanda simile che, circa cinquanta anni fa, Van Til si impegnò risolutamente a rispondere nei Saggi sull’educazione cristiana, e lo fece in modo da parlare al suo tempo, ma anche alle future generazioni.
Prendiamo la pandemia attuale, ad esempio, essa è un autentico “fatto” nel senso vantilliano del termine, un segno evidente della storia, a dispetto di quanti pensano che “tutte le cose continuano nel medesimo stato come dal principio”, un evento che ci costringe a ripensare il nostro mondo e il nostro modo di fare scuola. Ci sono però almeno due maniere per farlo: una che vuole rassettare, ricucire, imbiancare, e un’altra che vuole ripartire dai fondamenti.
Poiché il male della nostra scuola è radicale, è necessario il secondo metodo e il pensiero di Van Til è una medicina importante. Occorre infatti “svellere, demolire, abbattere, distruggere, edificare, piantare”. Ne risulta una posizione antitetica nei confronti degli assunti delle altre proposte. Si noti bene, degli assunti, dei presupposti, perché è lì che bisogna decostruire per poi ricostruire un’autentica alternativa in educazione. Il fatto che l’ambiente cristiano sia migliore di quello non cristiano non è una ragione sufficiente per avere scuole cristiane. La preghiera prima della lezione non rende una scuola “cristiana”. Agire sui presupposti è il solo modo per non ignorare la gravità del male e per lavorare in vista di una proposta diversa, che non è compromessa con la radicale malattia della pedagogia contemporanea.
Nella filosofia dell’educazione, quella cristiana è in antitesi con tutte le idee di Dio non cristiane, con tutte le divinità create dall’uomo: lo scientismo, il tecnicismo, il nuovo umanesimo, il progresso (ebbene sì, ancora lui!), i valori, la cultura, i vari “guru” della comunicazione mediatica, a cui sacrificare le vite delle giovani generazioni. Questi altari vanno demoliti per innalzare invece il Dio che ha creato l’essere umano, il mondo e tutte le cose che sono in esso, che lo tiene fermamente nelle sue mani e che governa tutta la storia passata, presente e futura.
Grosso modo, la pedagogia contemporanea afferma che l’educazione deve tendere allo sviluppo della persona nell’ambiente che lo circonda. Ma questo ambiente è misconosciuto, è impersonale, caotico, perfino minaccioso. Se il mondo è impersonale e senza legge, non c’è alcun rapporto con un Legislatore e nessuna responsabilità verso di Lui. Il male non è peccato e non ci scandalizza, perché fa parte del mondo e viene integrato nella sua costituzione. Non c’è la colpa morale, ognuno ha una propria concezione di bene e di male e l’umanità è il metro di misura di ogni cosa. Il mantra che si sente ripetere è che non c’è alcun Dio, quindi, bambino, non è poi così importante quello che fai… se sei onesto va bene, ma se non lo sei, fallo in modo di non essere scoperto.
In antitesi a ciò, l’educazione cristiana secondo Van Til afferma che la personalità può fiorire e crescere solo in un ambiente personale e ordinato, un cosmo creato, così come ce lo mostra la rivelazione. Un Dio personale assoluto ha posto l’umanità in un mondo armonioso e governato da leggi morali universali. Dio non subisce il male del mondo, ma ha predisposto un piano di salvezza e di redenzione, che porterà a termine sicuramente.
Il problema della conoscenza è quello di trovarsi davanti al mistero. L’insegnante non cristiano prova da solo a comprenderlo e, non riuscendoci, conclude che la realtà è irrazionale. Non conoscendo il tutto, non può interpretare il singolo elemento, e quindi non può insegnarlo, nel vero senso del termine. L’insegnante non cristiano non “sa” nulla e non si rifà ad alcuna autorità ma deve pur insegnare… porre il bambino di fronte a una serie infinita di possibilità e consigliare al meglio. Ciò porta all’inconsistenza professionale e all’angoscia esistenziale.
L’insegnante cristiano all’interno della Rivelazione (Scrittura) trova la chiave per comprendere la realtà, il disegno benevolo formato da Dio prima di tutti i tempi. Non conosce tutto, ma conosce veramente. Insegna i fatti spazio-temporali in relazione al Dio Creatore del tempo e dello spazio, perché al di fuori di Lui nulla è conoscibile. Conosce lo scopo della realtà, l’elemento centrale della vita e dell’educazione, quindi lavora con passione, non battendo l’aria affannosamente, come fa la pedagogia odierna nell’inseguire “ogni vento di dottrina”. L’insegnante deve sempre imparare, anche dai colleghi non cristiani, ma usa contenuti e metodi con prudenza, sapendo che non sono neutri e che abbisognano di essere trasformati. Ha il coraggio di essere originale e creativo, veramente alternativo. L’insegnante cristiano ha la certezza del buon esito del suo lavoro: “Egli si affatica all’alba di risultati eterni”.
(continua)