Saggi sull'educazione cristiana (III):  il dilemma dell’educazione

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Nell’ambito del dibattito pubblico su scuola ed educazione, oggetto di una nuova sensibilità conseguente alla pandemia, la filosofia educativa riformata di Cornelius Van Til (1895-1987) può contribuire a far luce sull’annosa questione. Già con “Antitesi in educazione” l’Autore ha dichiarato la radicale diversità dell’educazione cristiana rispetto a tutte le altre. Ora applica il suo metodo di ricerca a casi concreti, cioè alle filosofie educative prevalenti. 

Innanzitutto, occorre porsi la domanda delle domande: Perché educare? È una domanda universalmente disattesa dalle odierne prassi educative. O meglio, rimossa e occultata dietro un paravento di risposte ipocrite. Ci sono dichiarazioni altisonanti: imparare a imparare … educare a essere … educare al pensiero creativo…, ma ciò che sta veramente alla base dell’azione educativa è che ogni attore ha il proprio scopo individuale, nella migliore delle ipotesi. Oppure semplicemente non ha alcuno scopo. Per questo si registra un crollo della motivazione degli studenti. Alla fine, l’impresa educativa è tirata da ogni parte, barcolla e si frantuma in mezzo a migliaia di scopi diversi e spesso confliggenti tra di loro e con quelli istituzionali. 

L’educazione secondo Van Til parte da Dio e finisce con Dio, l’Iddio che si è rivelato nella creazione, nelle Scritture e in Gesù Cristo. Bisogna educare perché Dio ha dato un compito da svolgere all’umanità: lavorare per il Suo regno. C’è un futuro certo e la creatura umana è chiamata a impegnarsi per questo futuro vittorioso e glorioso. Nella filosofia cristiana dell’educazione, lo scopo dell’educazione si identifica con lo scopo della vita umana.

Tra le molte filosofie educative che si sono succedute nella storia, due in particolare sono state considerate da Van Til come universalmente rappresentative: lo strumentalismo e l’idealismo, entrambe prevalenti nei programmi della pubblica istruzione italiana nel Novecento. Il più noto rappresentante dello strumentalismo è stato John Dewey (1859-1952). Egli si pone all’opposto di ogni forma di trascendenza: per lui non esiste nessun Dio e nessuna rivelazione. Tutta l’educazione deve partire dall’esperienza e deve portare all’ampliamento dell’esperienza stessa. La critica che Van Til gli muove va diretta al cuore della teoria: essa presuppone che gli insegnanti sappiano che il cristianesimo non è vero. Questa certezza tuttavia si deve basare sull’esperienza attuale, senza riferimento a nient’altro. Afferma che l’uomo non sa nulla circa la realtà trascendente, ma loro in realtà sanno tutto al riguardo. Si deve essere onniscienti per affermare che nessuno può legittimamente pretendere di sapere alcunché su Dio! Dewey sostituisce il cristianesimo con la religione della scienza. L’esperienza umana attuale è la base di tutto, la sua principale qualità è la crescita verso la democrazia ideale. 

Anche l’idealismo muove a Dewey una critica condivisibile: nessuno sulla base dell’esperienza potrà mai sapere nulla di una futura società ideale, perché il futuro non è soggetto a sperimentazione. Quindi l’educazione perde ogni senso di direzione. Nemmeno il passato può essere conosciuto tramite i “dati” del presente, perché solo il presente è reale. Perciò la sua teoria non offre alcun criterio per distinguere ciò che è educativo da ciò che non lo è.

Per l’idealismo la conoscenza vera si colloca nel puro essere immutabile al di là delle apparenze e si acquista attraverso il pensiero, facoltà dell’anima che coglie l’essenza perché è partecipe dell’essere eterno. Portate alle loro logiche conseguenze, queste premesse considerano l’uomo, nella misura in cui è davvero umano, partecipe dell’essere eterno e quindi onnisciente. Dewey contesta all’idealismo che la realtà eterna e immutabile è del tutto al di fuori dell’esperienza umana, è stata assunta tramite la sola negazione, quindi è priva di contenuto.

In particolare, il pragmatismo sostiene di sapere che non vi è un Dio immutabile alle spalle del mondo. E l’idealismo dichiara di sapere che il Dio immutabile che esso stesso postula non può farsi conoscere attraverso la mutevole realtà dell’universo temporaleEntrambe le posizioni sono incoerenti e contraddittorie in sé stesse. Esse si rifanno a principi della teoria opposta per tenersi in piedi, e infatti si presentano spesso mescolate. La prospettiva moderna dell’educazione che prende da entrambe, non è in grado di insegnare. I loro argomenti contro la verità del cristianesimo scaturiscono dal presupposto comune dell’autonomia umana. 

Bisogna educare perché Dio ha dato un compito da svolgere all’umanità: lavorare per il Suo regno.

Questo è il dilemma dell’educazione moderna, che ha unito in una sola cosa l’insegnante e l’allievo, e si deve pensare all’allievo-insegnante come se entrambi sappiano tutto e niente allo stesso tempo. Nel confronto con visioni cristiane non riformate, in particolare quella cattolico romana e quella evangelica fondamentalista, Van Til mette in luce come entrambe siano frutto di un compromesso tra il cristianesimo e le precedenti filosofie, e quindi inadeguate. Solo sulla base di un cristianesimo consistente (coerente, integrale) si può ottenere un reale processo di insegnamento e di apprendimento, mentre i presupposti non cristiani non offrono alcuna coerenza nella comprensione dell’esperienza umana.

Solo dopo avere disarticolato e decostruito le filosofie educative non cristiane, Van Til può costruire la visione riformata dell’educazione in modo da trasmettere la profonda consapevolezza della necessità e del valore del suo programma educativo. “Il savio dà la scalata alla città dei forti e abbatte il baluardo in cui essa confidava” (Prov 21,22). 

(continua)

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