Se questi sono i giganti … come sarà la teologia del futuro?

 
 

Il pastore ugonotto del XVII secolo, Jean Daillé (1594-1670), scrisse nella sua opera Du vrai emploi des Pères (1631): “Chi non sa che un nano, montando sulle spalle di un gigante, vede più in alto e sempre più lontano del gigante stesso? Noi ci troviamo sulle spalle di questa grande e sublime Antichità: ad essa dobbiamo questa posizione di vantaggio”.[1]

“Sulle spalle dei giganti” è una metafora che indica il riconoscimento di una statura che permette, se ci si colloca lì, di guardare oltre. Per Daillé i giganti erano i Padri della chiesa e gli evangelici avrebbero dovuto mettersi sulle loro spalle per andare avanti. Ora la stessa metafora è evocata nel libro appena uscito Guardare alla teologia del futuro. Dalle spalle dei nostri giganti, a cura di M. Perroni e B. Salvarani, Torino, Claudiana 2022. L’idea è che valorizzando l’opera dei 26 teologi e delle teologhe elencati nel libro (e su cui viene fornito un capitolo introduttivo), la teologia del futuro trarrà grande giovamento.

Chi sono questi “giganti”? A chi è attribuita un’importanza tale da considerarli punti di riferimento sulle cui spalle mettersi per abitare il futuro? Ci sono storici della chiesa (cattolici) come Giuseppe Alberigo e Paolo Prodi, ortodossi come Olivier Clément, teologhe femministe come Kari Elisabeth Børresen e Mary Daly, teologi dell’universalismo religioso come Jacques Dupuis e Raimon Panikkar, cattolici critici come Hans Küng e Edward Schillebeeckx, cattolici “creativi” come Ghislan Lafont, teologi del sud del mondo che allargato i confini tradizionali (Balasurya, Ela, Scannone), pensatori e pensatrici “irregolari”, ecc. Insomma, nella lista presentata nel libro i giganti sono quelli/e che hanno avuto una teologia irrequieta, sfidante gli schemi, scomodi nelle traiettorie tradizionali e alla ricerca di nuovi orizzonti lontani dai percorsi stabilizzati.

Il libro è uno specchio di molti tratti della teologia contemporanea che si muove nel movimento ecumenico di matrice protestante (liberale) e cattolica (progressista). Nel pantheon dei giganti di questa teologia ci sono in realtà teologi che hanno contribuito a re-interpretare in senso critico i presidi tradizionali del cristianesimo (esempio: l’unicità e l’esclusività di Cristo, l’ispirazione della Scrittura, la realtà del peccato e del giudizio divino), a liquefare le distinzioni dottrinali ereditate dalla storia, ad evaporare le differenze tra cristiani e a stabilirne di nuove in base a paradigmi “corretti”. Se questa è considerata la teologia da cui partire per trarre direzione, cosa sarà della teologia del futuro se non un’accelerazione dei processi di polverizzazione del cristianesimo biblico, apostolico, protestante e di una sua ricomposizione su basi largamente universaliste ed inclusive.

A parte i biblisti come James Dunn e Martin Hengel (considerati peraltro border-line rispetto alla teologia evangelica per le loro interpretazioni discutibili di Paolo e del NT), nella lista dei 26 teologi e teologiche non ci sono evangelici. Ciò vuol dire che la teologia evangelica non ha avuto “giganti” nel XX secolo a cui guardare per il futuro? Evidentemente, per i curatori del libro, no.

Al contrario dei curatori, penso che la teologia evangelica[2] abbia i suoi “giganti” contemporanei sulle cui spalle mettersi per guardare al futuro. Solo guardando alla seconda metà del secolo scorso, ecco una lista provvisoria: Carl Henry, Pierre Marcel, Cornelius Van Til, Kenneth Kantzer, James Packer, John Stott, Byang Kato, René Padilla, John Frame, Henri Blocher, Don Carson. Sulle spalle di questi giganti, il futuro sarebbe molto diverso da quello immaginato dal libro della Claudiana.

[1] Citato da G. Peters, I Padri della Chiesa, Roma, Borla 1984, p. 20.

[2] Si veda il Dizionario di teologia evangelica, a cura di P. Bolognesi, L. De Chirico, A. Ferrari, Marchirolo (VA), EUN 2007, rist. 2012.