Senza l’Italia che Mondiali sono?
È giunta l’ora dei Mondiali. In questi giorni 32 squadre provenienti da tutti gli angoli della terra stanno gareggiando con il solo obiettivo di giocare la finale ed eventualmente innalzare al cielo l’ambito trofeo. Milioni di persone non aspettavano altro: c’è chi sa già come occuperà le sue serate, chi ha già invitato gente a casa per guardare le partite in compagnia, chi ha già prenotato i posti al pub di fiducia, e chi addirittura, da sfegatato del calcio, ha deciso di andare direttamente lì, in Qatar, per aggiungersi alla calca di tifosi che, muovendosi da uno stadio all’altro, supporterà la propria squadra cantando l’inno a squarciagola e sventolando animosamente bandiere nazionali. Sì, tante, tantissime persone tiferanno la nazionale del proprio paese…tranne l’Italia. È strano pensare che una delle squadre più titolate al mondo (quattro mondiali, due europei, un torneo olimpico) non abbia preso parte per la seconda volta consecutiva ad una competizione nella quale si era ormai abituati a vederla. È quindi un’occasione per trarre qualche riflessione.
Tutti si aspettavano di vedere l’Italia giocare ai Mondiali. Dopo la meritata vittoria agli Europei di due anni fa, si era quasi data per scontata la sua qualificazione. Non si era lontanamente immaginato potesse perdere ai play-offs contro un’anonima Macedonia del Nord, dopo aver vinto contro squadre del calibro del Belgio, della Spagna e dell’Inghilterra. Invece, proprio la sottovalutata Macedonia ha dato del filo da torcere ad un’Italia probabilmente un po’ troppo piena di sé. Senza affrettare le conclusioni, non dobbiamo biasimare una giovane squadra che agli Europei è riuscita, partita dopo partita, a diventare sempre più compatta e affiatata, dimostrando una coesione di intenti e un’armonia di gioco. Nonostante ciò, non è riuscita a mantenere quei livelli di efficienza ed è stata esclusa un’altra volta dall’agognata competizione.
La Parola di Dio si dimostra veritiera ancora una volta quando dice: “Chi pensa di stare in piedi guardi di non cadere” (1 Corinzi 10,12). Quante volte come credenti viviamo stagioni di relativa fioritura dal punto di vista spirituale, relazionale, lavorativo ed ecclesiale, fino al punto di abbassare la guardia e pensare che niente e nessuno potrà scalfire la nostra condizione? Però poi purtroppo dobbiamo ricrederci appena quell’apparente sicurezza comincia ad incrinarsi e mostrare un’altra volta la gravità del peccato insito in noi e intorno a noi. Nonostante sia talora faticoso e alle volte snervante, siamo chiamati, con il solo aiuto della grazia del Signore che si dimostra efficacemente in Dio Spirito Santo, nella sua Parola e nella sua chiesa, a vigilare continuamente “perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, [noi stessi siamo squalificati]” (1 Corinzi 9,27).
Dato che gli Azzurri non stanno giocando, le opzioni sono tre: 1) rifiutare categoricamente di guardare le partite per l’assenza della nazionale, 2) guardare il Mondiale senza tifare intenzionalmente nessuna squadra o 3) decidere di simpatizzare per una o due squadre, così da sentirsi più parte dell’esperienza e partecipare ad un’eventuale celebrazione. Se la prima opzione dimostra una chiusura campanilistica, le altre due comprovano una certa apertura e una comprensione del calcio che non si riduce alla propria nazione, ma al piacere di godere del giuoco che accomuna diversi paesi, culture ed etnie.
Traslato al popolo di Dio in Italia, come si comportano le chiese evangeliche di fronte alla crescita e maturazione di altre realtà evangeliche? Sebbene esse non siano le protagoniste, partecipano alla gioia altrui nel vedere conversioni risultanti dalla predicazione fedele della Parola e nel testimoniare una maturazione della comprensione del Vangelo che porta a solidi percorsi di discepolato? Anziché essere concentrati esclusivamente sul proprio “campetto”, riusciamo ad avere una visione olistica del regno di Dio, sia esso nazionale che internazionale, e riconoscere che nonostante le legittime e motivabili differenze, si è tutti membra del corpo di Cristo e si è uniti in “un solo Signore, in una sola fede e in solo battesimo?” (Efesini 4, 5)
Tra meno di un mese i Mondiali finiranno. I giocatori torneranno a concentrarsi sui loro campionati e nel frattempo gli Azzurri cercheranno di qualificarsi per i prossimi Europei. Non ci si ferma: appena una competizione finisce, l’altra ricomincia. Gli allenamenti continuano e si inseriscono in una strategia a lungo termine che darà i suoi risultati solamente tra due anni. Si guarda in avanti mentre si lavora oggi, imparando dagli errori del passato. Le chiese evangeliche riescono ad avere programmi ed obiettivi a lungo termine nel tentativo di avere una testimonianza, Dio volendo, più efficace e duratura? I membri delle chiese vengono “allenati” e formati per crescere e maturare nel presente in vista del futuro e delle sue “competizioni” spirituali e culturali? I credenti sono consapevoli di star giocando la partita che è stata già vinta sulla croce e che sono stati già equipaggiati per correre la corsa della fede oggi mentre aspettano ciò che deve ancora compiersi domani?
Mentre riflettiamo insieme su queste domande, forse l’esclusione dell’Italia dai Mondiali in Qatar ci permetterà di essere meno coinvolti emotivamente nella competizione, dandoci la possibilità di pregare con più sensibilità e oggettività per i cittadini di una nazione che ha fatto parlare di sé per la negazione di diritti umani e che non a caso è posizionata al 18° posto del report annuale sulla persecuzione dei cristiani nel mondo (World Watch List).