20.000 euro ai matrimoni religiosi e un pugno alla laicità dello Stato

 
 

Il nuovo governo aveva promesso di occuparsi di famiglia e natalità, ma i primi passi mossi dai partiti di maggioranza più che passi verso l’aiuto alle famiglie sembrano essere passi per allontanarsi dalla libertà religiosa in Italia. 

In questi giorni, infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato la prima legge di bilancio firmata dal governo Meloni e da giorni, dai diversi partiti, arrivano proposte e idee su come investire i 32 miliardi in ballo.

Tra queste proposte ha fatto discutere quella sottoscritta da cinque deputati leghisti che vedrebbe un bonus di 20.000 euro destinato ai giovani sotto i 35 anni che scelgono di sposarsi con il rito religioso. Secondo i firmatari, sarebbe preoccupante il calo dei matrimoni in generale, ma specialmente dei matrimoni celebrati con rito religioso che sembrano diminuire in percentuale maggiore a quelli celebrati con rito civile. Secondo l’analisi dei suddetti deputati il calo sarebbe da ricondurre anche al fatto che “oggettivamente” i matrimoni religiosi sono più costosi. Sarebbero infatti previste dal bonus detrazioni fiscali per il pagamento di addobbi floreali, abiti da sposi, ristorante, servizio acconciatura, la stampa dei libretti e tutto il resto che sempre secondo i cinque leghisti pare sia indispensabile per la celebrazione del matrimonio religioso.

Ovviamente le reazioni sono state forti da ogni forza politica e della società civile data l’incostituzionalità della proposta e la sua totale inconsistenza e probabilmente non sarà mai presa in considerazione seriamente né per questa legge di bilancio né per altre. Detto ciò, il solo fatto che sia potuta arrivare in Parlamento dà a pensare. 

Alcune persone che ci governano e rappresentano il popolo italiano, infatti, non sembrano avere la minima percezione di cosa significhi la laicità dello Stato, quale sia la realtà religiosa in Italia e non sono interessate a considerare le istanze delle minoranze. Non solo, presentano proposte di legge che sono il risultato di un impasto religioso-culturale spaventosamente diffuso in Italia e che niente ha a che fare con l’idea del matrimonio biblico. 

Il sottotesto della proposta è infatti che in Italia ci sia una sola religione (quella cattolica, s’intende), una sola cultura, una sola tradizione e un solo modo possibile di credere che va tutelato e agevolato. Che nel paese si professino altre religioni o altri credi o nessun credo per cui questa distinzione tra i matrimoni non sussiste o che non corrisponde alla dicotomia civile/chiesa, non sembra essere pervenuto o semplicemente non se ne rispetta l’uguale dignità per lo Stato italiano. 

I firmatari si sono subito corretti dichiarando che nella discussione parlamentare ci sarebbero stati ampi margini per allargare il bonus anche a chi sceglie il rito civile sempre per foraggiare il settore economico del “wedding”. 

L’altro sottotesto è quindi quello che per sposarsi siano necessari gli addobbi, l’acconciatura, l’abito sartoriale e che, per incentivare le unioni e la costruzione delle famiglie, il governo debba provvedere ad agevolare le feste nuziali. 

Anche in questo caso, la cultura che mischia tradizione cattolica e tradizione consumistica è forse quella maggioritaria in Italia e le leggi proposte da chi ci rappresenta ne sono uno specchio. Le nozze sono una festa, ma la cultura evangelica sa festeggiare coniugando gioia e sobrietà. In questo campo, anche i matrimoni tra evangelici dovrebbero riflettere una cultura della festa che, avendo ragioni per celebrare senza sperperare, non ha bisogno di rincorrere il consumismo dell’industria del “wedding”.