Siccità da Virzì a Gesù

 
 

Siccità è un film diretto da Paolo Virzì arrivato nelle sale cinematografiche italiane a fine settembre. Il film è ambientato in una Roma (forse) futura in cui non piove da tre anni e dove la siccità ha compromesso ogni aspetto della vita sociale fino a sfociare in una nuova epidemia il cui sintomo sono una violenta sonnolenza e stordimento. Il film distopico usa la metafora della sete e della siccità per descrivere l’aridità morale e sociale di una città che sta morendo. 

Il Tevere ormai prosciugato diventa letto in cui convivono immondizia e reperti archeologici venuti a galla a causa dell’aridità. Questo è lo sfondo delle storie intrecciate dei personaggi che si muovono in questa Roma ormai allo stremo, proprio come già accade nel quotidiano in cui degrado e massime espressioni dell’arte convivono insieme.

Siccità non è il primo film che utilizza Roma come metafora del mondo e che sottolinea le difficoltà della città per denunciare la decadenza della nostra società. Forse è significativo che la capitale venga percepita in modo apocalittico dagli artisti italiani.

Nel film, Roma è una città allo stremo, in cui le proteste per il razionamento dell’acqua sono all’ordine del giorno, nella quale i cittadini sono pressati da uno Stato che punisce chiunque faccia un uso improprio dell’acqua pubblica, ma anche dove i potenti gestori di un plesso termale riescono a farla franca fornendo servizi di lusso con piscine a chi può permetterselo. Roma è anche una città che seduce e soffoca le aspirazioni di chi vorrebbe migliorarsi ed infatti si vede l’eminente idrologo, chiamato in città dalle televisioni per spiegare ai cittadini le cause della catastrofe, arrivare come intransigente professore legato alla famiglia e senza alcuna velleità televisiva, farsi trasportare nel vortice della televisione e dei festini privati con politici ed attori fino a finire per riempire una vasca idromassaggio (massima espressione di trasgressione data l’ambientazione), solo per passare del tempo in piacevole compagnia con una diva del cinema.

I protagonisti del film hanno sete. Non hanno solo sete dell’acqua che manca però. Sono tutti inariditi dalla vita e alla ricerca di riscatto. Imprenditori falliti, attori non più scritturati, musicisti con una doppia vita, coppie logorate dal tempo e dai tradimenti, figli che disprezzano i genitori e genitori incapaci di comunicare con i figli … sono solo alcuni degli scenari tratteggiati dal regista. 

Guardando il film da una prospettiva biblica, non si può non pensare ai diversi episodi in cui Gesù parla della sete come sintomo del bisogno di Dio che solo Dio può soddisfare. Proprio come la donna samaritana (Giovanni 4), senza inizialmente comprendere le parole di Gesù, cercava una soluzione alla sua sete solo per non dover più attingere al pozzo, così i protagonisti del film cercano la pioggia credendo di poter risolvere i loro problemi esistenziali eliminando il problema idrico. In effetti, questa è anche la proposta del regista: una pioggia che finalmente bagna tutti dopo lungo tempo è la scena conclusiva del film che vuole infondere speranza, ma che non spiega come possa risolvere le rotture e storture che non hanno a che vedere con la sola mancanza d’acqua. 

La Bibbia invece parla di Gesù come fonte d’acqua viva, una fonte d’acqua che disseta in modo profondo e placa la sete che deriva da ogni rottura, ogni ferita, ogni aridità della nostra vita. Non solo questa fonte d’acqua viva scorre ininterrottamente, ma una volta che si è creduto si diventa a propria volta una fonte d’acqua grazie allo Spirito Santo che ci viene donato (Giovanni 5,37-39). Se Roma fosse piena di queste fontane, la siccità morale prevista e temuta da Virzì arretrerebbe e lascerebbe lo spazio per una Riforma biblica capace di rinnovare la città ed il Paese intero. Nostro compito è di essere oasi dove l’acqua dell’evangelo scorre e innaffia tutt’intorno.