“Slow Train Coming”. La stagione evangelica di Bob Dylan in un libro

 
 

Ricordi di ragazzo, verso la fine degli Anni Settanta. Non ero un estimatore particolare di Bob Dylan (ero troppo piccolo per capirlo o apprezzarlo a fondo), ma quando nel 1979 uscì il disco “Slow Train Coming” si iniziò a parlare della fede evangelica del cantautore americano. Bob Dylan era diventato evangelico? Nella percezione di un adolescente evangelico in un Paese come l’Italia, fece un certo scalpore vedere associato alla fede evangelica uno dei più conosciuti protagonisti della musica e della poesia contemporanea. “Slow Train Coming” fu seguito da “Saved” (1980) e “Shot of Love” (1981), altri due album dylaniani dalla chiara matrice evangelica. E’ superfluo dire che “Slow Train Coming” diventò un disco ascoltato e imparato a memoria, nelle sue melodie rock-country e nei suoi testi troppo complicati per un giovane non madre-linguista, eppure contenenti alcuni codici di riconoscimento che li facevano sentire vicini alla sensibilità evangelica.

La vita e la carriera di Dylan proseguirono su altre strade, molto lontane da quelle calpestate in “Slow Train Coming”. Altre influenze religiose, altre suggestioni spirituali furono evidenti in lui, tanto da far sembrare quella della fine degli Anni Settanta una parentesi avvolta da tanti punti interrogativi.

A distanza di 45 anni, l’occasione di tornare a quell’album è data da un libro spagnolo di Ana Aréjula e Luis Lapuente, Slow train coming. Bob Dylan y la cruz de Jesús, Valencia, Efe Eme 2024 di cui parla con la consueta verve José de Segovia nell’articolo “Bod Dylan y la cruz de Jésus”, Protestante Digital (6/8/2024).

Prima dell’uscita di quell’album, Dylan aveva incontrato i “Jesus people”, un movimento di hippies californiani che aveva scoperto la figura di Gesù e che era caratterizzato da una fede radicale e fuori dagli schemi sociali prevalenti. Tra musicisti e attori che uscivano dalla sperimentazione di droghe ed eccessi, i “Jesus people” rappresentarono un’opzione intrigante a cui molti di quella generazione aderirono. Dylan si avvicinò alla Vineyard Community vicino a Los Angeles. Dopo aver seguito uno studio biblico ogni mattina per tre mesi, insieme alla sua compagna di allora, Dylan fu anche battezzato.

I testi di “Slow Train Coming” aprono delle finestre sulla “conversione” di Dylan. In “Precious Angel” scrive: “Non ce l’avrei fatta da solo / Tu mi hai mostrato quanto fossi cieco / E quando fragile fosse il fondamento su cui vivevo”. In “Covenant Woman”, Dylan canta: “Sono stato rotto / Spezzato come un bicchiere vuoto / Ho aspettato che il Signore mi riscostruisse e mi riempisse” anche grazie a “una donna timorata del Signore” (un riferimento alla compagna di allora).

Dopo l’uscita del disco, Dylan tenne dei concerti in cui si rifiutò di cantare i suoi pezzi classici per cui era famoso. Pregava prima dei concerti con i musicisti e parlava come un predicatore. Dire che il suo pubblico fu sconvolto da questo cambiamento è eufemistico: tanta gente reagì con fischi e urla al Dylan uscito da “Slow Train Coming”. Anche la critica musicale demolì il Dylan “evangelico”, considerando quelle canzoni banali e vuote. Musicalmente parlando, l’album si avvalse della chitarra di Mark Knopfler che aveva da poco fondato i Dire Straits e il suo contributo chitarristico non è affatto banale.

Eppure, in “What Can I Do?” Dylan cantava a Dio: “Mi hai dato la vita da vivere / Ho scampato la morte così tante volte / Che so che vivo solo / Per la grazia salvifica che è sopra me”. Questo linguaggio fu ostracizzato dal pubblico e dalla critica. 

Cosa è stato di quella fede? Solo Dio sa. Che Dylan sia una personalità poliedrica per non dire enigmatica, impossibile da classificare, lo sanno tutti. Segovia riporta una recente intervista della moglie di Dylan dal 1986 al 1992, Carolyn Dennis (una corista in “Slow Train Coming”), in cui ha dichiarato che lui “è una persona religiosa, legge molto le Scritture, medita e prega; crede nella perdizione e nella salvezza, nei cinque libri di Mosè e nelle epistole di Paolo”. In un certo senso, la fase “evangelica” di Dylan testimoniata in “Slow Train Coming” è ancora aperta, anche se vissuta in modo dylaniano: cioè intrigante ma difficile da decifrare.