Stesse parole, mondi diversi. Perché il cattolicesimo è diverso dall’evangelo
Se dico “carbonara” a Roma, voglio dire un piatto di pasta con uova, guanciale, pecorino, sale e pepe. Se dico “carbonara” a Boston (USA), può darsi che mi venga servito un piatto di spaghetti con piselli e panna. E se avessi detto “carbonara” nell’Ottocento, forse avrei fatto riferimento ad un giacimento di carbone o ai partecipanti ai moti per la libertà politica dell’Italia. Il fonema (suono) “carbonara” è lo stesso, ma il lessema (significato) è diverso.
Come ha suggerito il linguista svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913), bisogna distinguere la “langue” (la lingua) dalla “parole” (la parola). La lingua è un sistema di riferimento che dà un contributo dirimente, talvolta decisivo, al significato alle singole parole. Queste ultime ricevono il loro senso nel contesto storico, geografico o teologico in cui sono utilizzate.
Questo spunto dalla linguistica ci aiuta a entrare nel tema della conversazione. Il cattolicesimo romano e la fede evangelica condividono l’uso di molte parole, ma usano una lingua diversa. Molti vocaboli sono gli stessi, ma il loro significato teologico è diverso in modo più o meno profondo e vistoso. La differenza fondamentale non sta nelle singole “parole” delle rispettive fedi, ma nella “lingua” generale di cui sono eredi ed interpreti. Detto in termini ancora più espliciti, nonostante il cattolicesimo e la fede evangelica usino molte parole foneticamente uguali, esse parlano una lingua teologica diversa.
E’ vero: ci sono anche parole diverse, tipiche del cattolicesimo e non condivise dalla fede evangelica. Si pensi a transustanziazione, indulgenze, infallibilità, assunzione corporale di Maria, ecc. Queste sono parole solo cattoliche. Tuttavia, la maggioranza delle parole della fede cristiana sono in comune: ad esempio, fede, grazia, salvezza, croce, vangelo, ecc. Come è possibile questo?
Il libro che ho scritto s’intitola, appunto, Stesse parole, mondi diversi per sottolineare questa ambiguità: la somiglianza delle parole, la differenza della teologia. Il libro avrebbe dovuto essere già pubblicato prima dell’estate, ma è stato anch’esso vittima del covid. Visto che la pandemia ha determinato una sensibile contrazione delle vendite di libri, molte case editrici hanno rivisto la tempistica dei loro programmi editoriali rinviando il lancio delle novità. L’uscita è prevista per i prossimi mesi. In questa conversazione cercherò di raccontare come è nato il libro, cosa vuole argomentare per poi concludere con qualche osservazione finale.
L’idea iniziale per questo libro ha iniziato a frullarmi in testa nel 2005 quando lessi il libro di M. Noll – C. Nystrom, Is the Reformation Over? An Evangelical Assessment of Roman Catholicism, Grand Rapids, Eerdmans 2005. In quel volume, lo storico evangelico Noll espresse un’opinione che andava crescendo nel mondo evangelico internazionale e cioè che le istanze della Riforma protestante del XVI secolo, dopo cinque secoli, avessero perso la loro carica divisiva. Il cattolicesimo romano era cambiato e bisognava prenderne atto: lo iato con la Riforma si era assottigliato. Ad esempio, leggendo il Catechismo della chiesa cattolica (1992) Noll sosteneva che un evangelico avrebbe potuto condividere almeno di 2/3 dei suoi contenuti dottrinali: la trinità, la cristologia, l’etica. D’altra parte, tuttavia, Noll stesso riconosceva che, ad uno sguardo un po’ più attento, quando il Catechismo scrive Cristo c’è in filigrana la chiesa, quando dice grazia vuol dire sacramento, quando parla di fede intende un merito, quando accenna alla mediazione ci sono Maria e i santi, ecc. Insomma, le parole sono le stesse, ma il loro significato no.
Un’altra lettura fatta negli ultimi anni ha fatto raggiungere l’idea embrionale di questo libro ad uno stadio più avanzato.Nel 2013 uscì il volume di George Weigel, Evangelical Catholicism. Deep Reform in the 21st-Century Church, New York, Basic Books 2013; tr. it. Cattolicesimo evangelico. La grande riforma della chiesa nel XXI secolo, Siena, Cantagalli 2016.
In questo libro Weigel si appropriava della parola “evangelico” e la associava al “cattolicesimo”. C'è stato un tempo in cui la parola "evangelico" significava qualcosa di simile a questo: biblicamente, ciò che dice l’evangelo secondo l’insegnamento della Scrittura. Storicamente, in riferimento alla Riforma protestante del XVI secolo Riforma protestante e ai risvegli evangelici dei secoli successivi. Dottrinalmente, è stato un sinonimo dell'ortodossia cristiana, con particolare attenzione al principio formale dell’autorità biblica (Sola Scriptura) e al principio materiale della giustificazione per la sola fede (Sola gratia e Sola Fide). Dal punto di vista spirituale, il termine è stato usato per sottolineare la necessità della conversione personale risultante in una vita trasformata. Sul piano religioso, evangelico ha contraddistinto un movimento distinto rispetto al cattolicesimo e all’ortodossia orientale, così come diverso dal liberalismo. Da John Wycliffe (doctor evangelicus) a Carl Henry, da Martin Lutero a John Stott, dal pietismo al Movimento di Losanna, vi è stato un significato vagamente definito, accettato anche dai non-evangelici.
Ora stiamo assistendo a un nuovo tentativo di significare la parola "evangelico", al fine di darle un volto del tutto diverso.
Questo libro di Weigel è un tentativo intelligente di riprogettare la parola recidendo le sue radici storiche e sostituendole con altre radici, cambiando la sua prospettiva dottrinale, e rinegoziando il suo uso religioso. In altre parole, questa è una modificazione genetica di una parola. La tesi di fondo del libro è che il cattolicesimo evangelico è una qualifica del cattolicesimo romano a partire dal magistero di Papa Leone XIII (1878-1903), passando dal Concilio Vaticano II (1962-1965), e che ha trovato il suo esponente principale in Giovanni Paolo II (1978-2005) ed è stato ancor più rafforzato da Benedetto XVI (2005-2013). Si tratta di una nuova narrazione della parola che ingloba ed ingoia “evangelico” nel cattolicesimo.
Secondo Weigel, evangelico è un aggettivo qualificativo, non un sostantivo. Il nome che porta significato e sostanziale è cattolicesimo. Tutti gli elementi romani del cattolicesimo romano sono comunque parte del cattolicesimo evangelico: i sacramenti, la mariologia, la gerarchia, le tradizioni, il papato, le devozioni, ecc. A questo "cattolicesimo" Weigel aggiunge l'aggettivo “evangelico”, che si riferisce essenzialmente alla profondità delle convinzioni e alla passione con cui le si fa conoscere. Il cattolicesimo è la dottrina e l'hardware istituzionale, mentre "evangelico" è il software sociologico e psicologico.
L’appropriazione di ciò che è evangelico da parte del cattolicesimo è solo la punta dell'iceberg di un piano più grande. Tutto il libro di Weigel rispecchia il tentativo in corso di cambiare il significato delle parole che storicamente appartenevano al vocabolario evangelico. E’ in corso una vera e propria OPA del cattolicesimo sulle parole dell’evangelicalismo per appropriarsene ed introdurle nel proprio sistema. Nella stessa direzione si sta muovendo il cattolicesimo nel tentativo, avviato a partire dagli Anni Sessanta, di assimilare le forme e i linguaggi della fede pentecostale-carismatica.
Si prenda ad esempio la conversione. E’ stata una password per la testimonianza evangelica. Gli evangelici la usavano per segnalare il momento in cui, da non convertiti, sono stati convertiti credendo in Gesù Cristo. Secondo il cattolicesimo evangelico, invece, la "conversione" è un processo vita natural durante, non una esperienza puntilineare. Ci troviamo nella necessità permanente di essere convertiti e qui si inserisce la visione "sacramentale" del cattolicesimo per la quale noi dipendiamo dai sacramenti della Chiesa, dall'inizio alla fine. Il significato evangelico della conversione viene decostruito e ricostruito dicendo che si tratta di un processo di tutta la vita che si verifica pienamente all’interno del sistema sacramentale della Chiesa cattolica romana. Usiamo la stessa parola, ma intendiamo cose diverse.
Pensiamo alla giustificazione. Per l’evangelo è l’atto di grazia di Dio mediante il quale la giustizia di Cristo viene imputata al peccatore che offre quindi la base certa e giuridica dell’assicurazione cristiana della vita eterna. Per Roma, da Trento in poi, giustificazione è un processo avviato al battesimo, alimentato dai sacramenti e dall’esito incerto e mai definitive.
Pensiamo alla Parola di Dio. Per l’evangelo è la Parola scritta della Bibbia che testimonia in modo veritiero e autorevole la Parola incarnata, Gesù Cristo. Per il cattolicesimo, è la Parola solo in parte contenuta nei libri della Bibbia, ma che continua nella tradizione della chiesa e nel suo magistero attuale. Per Roma, la Parola precede la Bibbia e la eccede nella tradizione.
Pensiamo alla missione. Per l’evangelo è la vocazione della chiesa di testimoniare in parole e opere la buona notizia di Gesù Cristo affinché chi crede in Lui non muoia, ma abbia vita eterna. Per il cattolicesimo, in particolare per questo papa regnante, la missione è la cifra della fraternità umana che già accomuna tutti nel segno della misericordia e dell’inclusione. Non c’è proclamazione di Cristo come unica via e verità, non c’è denuncia dell’idolatria delle religioni umane, non c’è appello al ravvedimento per scampare al giudizio di Dio. Usiamo la stessa parola, ma siamo in mondi distanti.
Potremmo andare con gli esempi. In fondo, troveremmo lo stesso problema ripetersi parola dopo parola. Il valore fonetico delle stesse parole non significa la convergenza teologica del linguaggio cui fanno riferimento. Le parole della fede cattolica, per quanto uguali come suoni a quelle della fede evangelica, sono in realtà dentro un sistema di significato che le rende costitutivamente e programmaticamente diverse. C’è un DNA di senso teologico diverso che le rende non sovrapponibili. Tutto ciò ha delle evidenti e rilevanti implicazioni in svariate direzioni. Ne sfioro solo due.
1. Per l’evangelizzazione, quando dialoghiamo con amici e conoscenti cattolici, ciò significa che il linguaggio cattolico ereditato dalla cultura religiosa deve essere “sciacquato nell’Arno” della Parola di Dio e non dato per scontato come se fosse un terreno comune su cui costruire. Il linguaggio della tradizione religiosa deve essere destrutturato dal suo imprinting cattolico e ricostruito secondo i principi evangelici del sola Scrittura, solo Cristo e sola grazia.
2. Per le relazioni “ecumeniche”, ciò significa che anche la cosiddetta eredità comune testimoniata dall’adesione ai credi della chiesa antica e incardinata sulla confessione del Dio uno e trino è più formale che sostanziale. Per il cattolicesimo la confessione della divinità di Gesù Cristo porta con sé l’immacolata concezione di Maria e la mediazione dei santi, l’infallibilità papale e la concezione del sacerdote come “alter Christus”, dottrine che non stanno nel “solus Christus” evangelico. Diciamo foneticamente il credo insieme, ma non lo diciamo teologicamente insieme.
Per concludere, questo libro Stesse parole, mondi diversi, mette a tema questo problema di fondo. Nel 1962 Vittorio Subilia parlava de Il problema del cattolicesimo. Il suo “problema” non è in una dottrina o in una pratica in particolare, ma sta nell’insieme, nel costrutto, nel sistema che lo regge e che lo fa essere ciò che è. Simile nelle parole, ma altro quanto a teologia. Vicino quanto a suoni, ma lontano quanto a significati. Prossimo quanto a linguaggio, ma distante quanto a spiritualità.
La mia speranza è che il libro sia al servizio del discernimento evangelico sulla struttura teologica del cattolicesimo e sulla sua dinamica assimilatrice. Tutto ciò per favorire un confronto consapevole, informato ed intelligente, lontano dalle superficialità e dalle ipocrisie della “correttezza ecumenica” così diffuse oggi.
(testo della prolusione tenuta al Dies Academicus di IFED il 5 ottobre 2020)