Un nuovo (?) Presidente per un Paese bloccato

 
 

Alla fine è andata come non doveva andare. Mattarella è stato rieletto come Presidente della Repubblica. Sia ben chiaro. Mattarella è stato un buon presidente ed è una persona assennata. Svolgerà il suo secondo mandato con la stessa serietà del primo. Il problema non è Mattarella. Il problema è l’Italia che non riesce a superare le sue idiosincrasie e deve affidarsi a (non) soluzioni che rinviano le scelte e lasciano irrisolti i nodi. Tre brevi considerazioni a caldo. 

1. Rieleggere lo stesso Presidente significa non avere prospettive di futuro e non essere inseriti in dinamiche fisiologiche di cambiamento istituzionale. Che a 81 anni un uomo debba essere chiamato di nuovo a ricoprire la più alta carica dello Stato parla di un Paese vecchio, senza visione di futuro. Il fatto che sia accaduta la stessa cosa con Napolitano pochi anni fa dice che la vetustà della cultura del Paese non è episodica, ma strutturale. Sembra quasi che in Italia circoli ancora la nostalgia delle cariche a vita (come quella del re o del papa) più che essersi radicata quella delle cariche pubbliche pro-tempore e in vista di scadenzate successioni. Come si può parlare di attenzione alla formazione di giovani e alla crescita delle opportunità per le nuove generazioni, se alla fine, in una carica apicale si rielegge una persona che l’ha già ricoperta e che giustamente aspettava la stagione dell’emeritazione? Che messaggio manda il Paese? Che siamo un Paese per vecchi (con tutto il rispetto per gli anziani), statico, bloccato. 

2. Rieleggere lo stesso Presidente dice anche che la classe politica non è stata all’altezza della sua responsabilità. E’ da mesi se non anni che si sa che a fine gennaio 2022 si sarebbe votato per il Presidente, ma siamo arrivati all’appuntamento senza uno straccio di idea o di convergenza su un nome rappresentativo che potesse essere votato da una maggioranza. Tutto questo in presenza di infinite riunioni, discussioni animate, cene private, trattative riservate, interviste tambureggianti, post usati come palline da ping pong, in cui si sono spese milioni e milioni di parole senza arrivare a nulla. Una decisione importante per il Paese e largamente prevista è stata affrontata partendo da 0 e approdando a nulla. Si era detto che in pochi giorni si sarebbe eletto il Capo dello Stato. Sono stati bruciati molti candidati: alcuni annunciati e poi ritirati (Nordio, Pera, Moratti, Riccardi, Belloni), altri passati al vaglio del voto e sonoramente bocciati (Casellati). Sembrava di assistere allo svogliato e disinvolto distacco di petali di una margherita. Solo che in gioco era la più alta carica dello Stato. Tutti hanno detto di voler fare l’interesse “generale” al servizio del Paese, poi quando si è trattato di arrivare al dunque ciascuno è ritornato a ragionare solo da capo della propria bottega con una prospettiva molto provinciale. 

3. Rieleggere lo stesso Capo della Stato avviene nel rispetto formale della Costituzione, anche se, ancora una volta, la Carta è stata forzata non poco con delle conseguenze che non possono non destare preoccupazione. Dopo 7 anni altri 7 anni per un totale di 14 anni! Questo non è un ciclo di una democrazia seria: è un tempo di un regno o di un papato! Già sette anni sono un tempo molto lungo che andrebbe accorciato. Addirittura raddoppiarlo significa introdurre un blocco pericoloso da un punto di vista istituzionale. Certamente Mattarella non è dittatore, né l’Italia è a rischio di diventare un Paese “sudamericano” (forse), ma il messaggio mandato con la rielezione parla di un Paese che invece di andare più spedito, rallenta ancor più il passo. 

Scrivo queste note di getto nella sede della chiesa evangelica Breccia di Roma che è a pochi passi dal Quirinale. Ogni domenica al culto preghiamo per le autorità, compresa quella del Presidente della Repubblica. Domenica scorsa abbiamo pregato per le elezioni del nuovo Capo dello Stato e continueremo a pregare per Mattarella. Abbiamo ponderato la delicatezza della situazione, ma anche il rilievo “penultimo” di ogni scelta umana. Nella vita politica tutto è importante, ma non veramente decisivo ed irrevocabile. Ciò vuol dire che c’è ancora speranza e che non tutto è perduto. Più che della nostalgia di un presidente “papa e re”, il nostro Paese ha bisogno di una riforma profonda che solo l’evangelo di Gesù Cristo può mettere in moto.