Una cattolicità ancora più diluita. Niente di nuovo sul fronte della chiesa sinodale

 
 

“Sinodalità” è la parola d’ordine della Chiesa cattolica di oggi. Se non si fanno i conti con la sinodalità non si capisce ciò che bolle in pentola nel cattolicesimo contemporaneo. L’enfasi sulla sinodalità ha ricevuto una spinta da papa Francesco che, immaginando la sua chiesa “in uscita”, ha pensato di avviare un processo sinodale di ascolto e di confronto capillare, partendo dalle parrocchie sino ad arrivare al Sinodo dei vescovi sulla sinodalità previsto per ottobre 2023. 

In Italia, il movimento sinodale è arrivato all’elaborazione di un primo documento riassuntivo di quando è emerso sin qui. In “Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione” (qui in sintesi), la Conferenza episcopale italiana ha messo insieme il distillato di circa 50.000 gruppi sinodali, che hanno coinvolto mezzo milione di persone. Il tutto confluito in 200 sintesi diocesane e 19 elaborate da altri gruppi, per un totale di più di 1.500 pagine pervenute. Si può dire che questo documento contiene quando la chiesa cattolica italiana porterà all’attenzione del Sinodo del 2023. 

Leggendolo, si posso fare alcune osservazioni. Innanzitutto, i numeri. Vero è che in termini assoluti possono sembrare impressionanti, ma se si pensa che solo mezzo milione di persone sono state coinvolte, ciò significa che solo l’1% della popolazione italiana ha partecipato. A fronte del 69% degli italiani che si dichiarano cattolici, si può dire che quelli coinvolti ed interessati sono davvero una esigua minoranza. Se si tiene presente che la popolazione evangelica raccoglie circa la stessa percentuale (1%) e che in genera partecipa alla vita della chiesa, ne risulta che i numeri “nominali” del cattolicesimo sono enormemente più grandi, ma quelli “reali” non sono poi così distanti da quelli degli evangelici.

Secondo, nel leggere la sintesi della discussione sinodale, le parole chiave sono dieci: “ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita, metodo”. Sono tutte parole “cattoliche” volte a diluire l’identità cattolica. Nessuna parola “dottrinale”, ma tutte “pastorali”. Ecco alcune frasi significative: 

  • «superare la distinzione “dentro-fuori”». L’intenzione emersa è di abbracciare tutti e rendere sempre meno evidenti i segni distintivi della professione e della pratica della fede cattolica. 

  • «la fede non è più il punto di riferimento centrale per la vita di tante persone: per molti il Vangelo non serve a vivere, ma i semi del Verbo sono presenti in ogni contesto. E bisogna imparare a dialogare». C’è la presa d’atto della secolarizzazione, ma ci si limita al dialogo nella consapevolezza che la grazia opera dappertutto. 

  • «La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo». L’ansia cattolica è di estendere la piattaforma abbassando, e di molto, le condizioni di accesso.

Ciò che emerge è che la base chiede di investire nell’apertura ulteriore (indiscriminata?) della sintesi cattolica in modo che nessuno, credente, diversamente credente, praticante, agnostico, indifferente, sia lasciato fuori. La chiesa di popolo, la chiesa-umanità, la chiesa “sacramento di unità tra Dio e il mondo” immaginata dal Vaticano II è quella che i cattolici impegnati vogliono. Tutto ciò sembra a spese della “romanità” della chiesa: i suoi dogmi, il Catechismo, la morale tradizionale, ecc. In linea con la tendenza promossa da papa Francesco, la chiesa “sinodale” sembra voler essere più cattolica e meno romana.

Terza e ultima riflessione a caldo. Cosa significa tutto ciò per la testimonianza evangelica in Italia? Sarebbe utile avere tavoli evangelici di confronto sulle implicazioni di queste discussioni interne al mondo cattolico per l’evangelizzazione e in generale sul dialogo con esso. Su due piedi si può dire che il cattolicesimo medio attuale è poco interessato alle e preparato sulle questioni dottrinali e molto attratto dalla “fraternità” con tutti. Se non è la testimonianza evangelica che si assume la responsabilità di annunciare l’evangelo biblico nella sua integrità, da parte cattolica non si troveranno grandi reazioni se non quelle del tipo: “siamo già tutti fratelli, le questioni dottrinali contano poco”. Il mondo cattolico “sinodale” interpreta la chiamata ad essere “in uscita” come mezzo per estendere la sua cattolicità, ma a spese del portato dottrinale. L’unica dottrina che conta per loro è il dialogo, la fraternità, l’inclusione, l’assorbimento. Anche a questi cattolici impegnati ma evangelicamente confusissimi, bisogna testimoniare la verità biblica nella carità cristiana.