Verso il referendum sull’eutanasia. Una prima bussola etica
Elezioni e referendum, in Italia, sono all’ordine del giorno. Si è continuamente in clima elettorale e gli schieramenti sono costantemente in competizione tra loro, spesso con toni aspri e polemici. Ciò stanca e, se pure in parte, svalorizza istituti democratici così importanti.
Il referendum è un istituto costituzionale di democrazia diretta che consente al popolo di chiedere al Parlamento di porre in essere delle norme, di modificare norme già esistenti o anche di abrogarle. L’iter per l’attuazione di un referendum è complesso e non è questa la sede per esaminarlo. Si ricorre a questo istituto per sboccare l’inerzia del Parlamento – organo legislativo -, che, in certi casi, appare cieco e sordo.
L’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica sta raccogliendo firme per giungere al referendum denominato “referendum eutanasia”, così dalla stessa denominato. Lo scopo è sollecitare il Parlamento a modificare l’Art. 579 e 580 del Codice Penale, articoli risalenti al Codice Rocco del 1930 ed in vigore in Italia, che prescrivono la condanna penale per chi aiuta a morire una persona che ne abbia fatto richiesta (omicidio del consenziente e aiuto al suicidio).
L’esigenza di questa modifica degli articoli indicati nasce dalla opportunità di adeguare il Codice Penale derivante dal novello orientamento formulato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 242/2019, denominata “Sentenza Cappato”, con la quale Marco Cappato fu assolto per aver aiutato DJ Fabo a morire in Svizzera, stante il suo stato di infermità irreversibile causato da un incidente. Tutto questo ripropone all’attenzione di tutti ed agli organi costituzionali preposti i temi sensibili del fine vita.
La promozione del referendum e la campagna che seguirà fanno tornare alla ribalta i due soliti fronti che si schierano sul tema del fine vita: “pro vita” e “pro scelta”, posizioni inconciliabili perché formulate con presupposti e/o paradigma diversi. Il primo, almeno in Italia, tende ad attribuire alla vita il carattere di “sacralità”, quindi di intangibilità. Il secondo tende ad assolutizzare l’autonomia dell’individuo sopra qualsiasi altro criterio. Sia l’uno che l’altro paradigma “forzano” la situazione in un senso o in un altro, finendo per ideologizzare il dibattito e a non tenere conto della varietà dei casi. L’approccio evangelico si distingue dalle tendenze pro-eutanasiche della bioetica laica e dalle rigidità vitalistiche del magistero cattolico.
Il documento sull’eutanasia pubblicato dal Centro Studi di Etica e Bioetica nel 2003 (“Eutanasia”, Studi di teologia – Suppl. N. 1 [2003] pp. 2-12) provò a suggerire una riflessione che fuoriuscisse dalla mera contrapposizione tra le posizioni “pro-vita” e “pro-scelta”. L’etica di fine vita è più complessa di quanto può risultare dal quesito referendario.
A questo punto entrano in gioco le tematiche del testamento biologico e del consenso informato, sanciti dalla Legge 219/2013 (si veda: Centro Studi di Etica e Bioetica, “Testamento biologico”, Studi di teologia – Suppl. 15 [2017]), di cui non si parla affatto nel dibattito attuale e nell’opinione pubblica, chissà perché. Il referendum semplifica con l’accetta un ventaglio largo di casi e situazioni che dovrebbero essere lasciate alle persone coinvolte: pazienti, familiari, medici, comunità di riferimento, anche attraverso lo strumento delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
L’eutanasia legale fa cortocircuitare la problematica del fine vita, dando l’impressione di risolvere il problema della sofferenza di alcuni, ma al contempo aprendo all’uso improprio dello strumento eutanasico contro soggetti che non lo hanno richiesto o non sono in grado di respingerlo. Per evitare abusi (documentati e molto diffusi nei Paesi che hanno già legislazioni eutanasiche), sarebbe meglio che lo Stato non autorizzasse la morte “on demand” e facesse applicare meglio il testamento biologico e le cure palliative. Che almeno il dibattito sul referendum sia l’occasione per parlare di un tema che in genere è urlato in modo isterico o rimosso come tabù.