Verso la Domenica della memoria (III). La Riforma ridiede dignità al lavoro
La storia del lavoro può essere divisa tra periodo prima della Riforma e dopo la Riforma. Proprio perché fu un movimento guidato da Dio alla riscoperta della verità bibliche affinchè questa potesse guidare e dirigere i passi della vita di ogni credente in ogni ambito dell’esistenza, la Riforma impattò anche il modo di lavorare e la stessa concezione del lavoro. Per i Riformatori, vita familiare, vita ecclesiale e quindi vita lavorativa dovevano essere vissute con lo scopo ultimo di glorificare Dio. Nel supplemento alla rivista Studi di teologia – Suppl. N. 18 (2020), il prof. Pietro Bolognesi tratta in modo agevole e conciso il significato del lavoro nel corso della storia, includendo una sezione sulla Riforma.
Fin dal mondo antico il lavoro giocava un ruolo chiave. Visto come un obbligo, il lavoro non godeva di grande considerazione perché significava assenza di autonomia. “Il lavoro manuale veniva svalutato perché considerato responsabile della degenerazione del fisico e dell’anima” (p.109). A conferma di ciò è interessante notare che nella scala sociale al vertice c’erano i filosofi, i guerrieri e poi i lavoratori manuali. Il lavoro era quindi una disgrazia e il parametro per definire un uomo veramente libero era l’ozio. In altre parole “il lavoro era svalutato, perché si fondava sull’idea di necessità e il fatto che l’esistenza fosse accompagnata dal bisogno di lavorare manualmente implicava una squalifica” (p.110).
Nell’epoca medievale invece il lavoro venne visto in modo diverso. Agostino (354-430) parla della distinzione tra vita contemplativa e vita attiva pensando alla prima come qualcosa di più importante. Anche Tommaso d’Aquino (1225-1274) distingue la vita lavorativa da quella contemplativa; pur sottolineando l’importanza di entrambe, quella più nobile sarebbe quest’ultima.
Nel periodo rinascimentale e quindi della Riforma protestante si assiste ad un cambiamento di rotta, nel senso che l’interesse per l’uomo permette di rivalutare anche l’attività lavorativa che lo caratterizza. Però è giusto dire che è con la Riforma che si assiste ad un cambiamento vero e proprio, in cui “la divisione del lavoro in sacro e profano viene veramente respinta” (p.113). Ogni lavoro deve essere svolto per la gloria di Dio perché Dio è sovrano in tutte le sfere della vita. In altre parole, la Riforma ridà dignità al lavoro e all’attività lavorativa lecitamente esercitata. A questo la Riforma aggiunge il concetto di vocazione che “è riassunta da Lutero nel termine Beruf” (p. 114), ad evocare un’idea di chiamata, di dovere da esercitare e adempiere. “Chi lavora è posto davanti a Dio nelle sue responsabilità e nelle sue scelte” (p.115).
Il lavoro nobilita l’uomo non perché è il mezzo per valutare una persona, non perché ne definisce l’identità e tantomeno perché è una convenzione sociale a cui sottostare, ma perché è un compito affidato da Dio a tutti gli uomini. Il lavoro, perciò, è parte della vocazione umana che deve essere vissuto in modo impegnato e appassionato per la gloria di Dio. “Se l’apice della spiritualità era stato associato all’uscita dal mondo, con la Riforma si tratta di entrarvi impegnandosi per glorificare Dio ed esprimergli la propria gratitudine” (p.116).
Grazie alla Riforma, oggi possiamo avere una prospettiva diversa su molti temi legati alla vita, dentro e fuori la chiesa. Se vogliamo capire la Riforma e dire di essere eredi delle sue istanze, allora un passo importante è quello di ripensare la nostra attività lavorativa, per viverla e affrontarla con Dio e per Dio.
(NdR: La Domenica della memoria, in molti Paesi chiamata “domenica della Riforma”, è un’occasione per ricordare la riscoperta dell’evangelo imperniata sul riconoscimento dell’autorità della Scrittura, la centralità di Gesù Cristo, la gratuità della salvezza, l’esigenza che tutta la vita sia vissuta per la gloria di Dio. Per l’occasione l’Alleanza Evangelica Italiana offre materiali e spunti per vivere in modo significativo questa ricorrenza)