Warfieldiana (VI). Tre indicatori della qualità del servizio cristiano
Nel 1911 Benjamin B. Warfield fu invitato a tenere un discorso per gli studenti del Seminario di Princeton di cui allora era preside, a cui diede il titolo “La vita spirituale degli studenti di teologia”, pubblicato in italiano all’interno del volume Le sfide della teologia, Firenze, BE Edizioni 2017.
Warfield è stato definito il più grande teologo americano dopo Jonathan Edwards. La sua erudizione, la vastità dei suoi interessi, il rigore del suo lavoro e l’imponenza della sua opera potrebbero condurci istintivamente a tenerlo a debita distanza, intimoriti da un simile genio. La lettura di questo discorso, però ci aiuta a simpatizzare con l’uomo, e ci introduce lo studioso credente con ciò che aveva più a cuore: un amore smisurato per Cristo, la sua Parola e la sua chiesa.
Con il suo discorso Warfield voleva incoraggiare gli studenti del Seminario di Princeton a esaminare il proprio lavoro come strettamente collegato ad almeno tre elementi:
la vocazione perché il pensiero cristiano è posto al servizio di una chiamata divina all’azione,
la devozione del cuore, perché si tratta di una fede consapevole che cresce in santità,
la vita ecclesiale perché non è un pensiero isolato ma è condiviso nell’unità dei figli di Dio.
Questi elementi biblici restano essenziali e validi ancora oggi per tutti noi.
Il tema della vocazione è un tema biblico, caro al Protestantesimo il quale pose fine al dualismo medievale che si era sedimentato nei secoli e che distingueva nettamente vita spirituale e vita secolare, e che purtroppo resta una tendenza sempre latente nell’animo umano.La vocazione è espressione di un diritto divino; Dio rivolge una chiamata particolare ad ognuno di noi per investirci di un compito particolare. Nel caso dello studente è quello di studiare con diligenza e di farlo in ginocchio, cioè con uno spirito di devozione, adorazione a Dio e preghiera. “Se lo studio e la preghiera fossero antagonisti, la vita intellettuale sarebbe in sé stessa una maledizione”. La fede in Cristo plasma l’essere umano, gli fa fare il suo dovere e glielo fa fare bene “nel Signore”. Questo è lo spirito che trasforma lo “spazzare una stanza in un atto di adorazione”
Il secondo elemento è quello della devozione del cuore, che ha cura del rapporto personale e appassionato con Gesù Cristo. La fede coinvolge sempre la mente, ma non è mai sganciata dal cuore. Lo studente di teologia non è legittimato, solo per il fatto che studia teologia, a trascurare le sue discipline personali (come la meditazione sulla Parola, la preghiera solitaria, la confessione del proprio peccato, ecc.). Se lo studio della teologia si limita ad un coinvolgimento intellettuale con parole, schemi logici, argomenti, fatti, con il tempo si trasforma in un senso di sazietà di Dio. Il cuore dello studente, anche quello più dotato e promettente, sarà terribilmente indurito.
C’è un problema spirituale quando uno studente di teologia non cresce in santità personale davanti a Dio e davanti agli uomini, la cui vita, le cui passioni, le cui emozioni, il cui carattere non sono minimamente trasformati dalla conoscenza di Dio. Cristo rimane l’esempio eccelso. Egli cresceva in statura, in grazia e in sapienza: corpo, mente e cuore sono inseparabili nel modo in cui Dio ha creato l’essere umano.
Il terzo elemento per una sana vita spirituale è il costante coinvolgimento con la vita organica della chiesa locale. Lo studio diligente e l’adorazione personale non sono sufficienti se vissuti in isolamento. Uno studente di teologia, anche se lontano dalla propria città o dalla propria famiglia, anche se appesantito dal proprio lavoro, non è giustificato dall’abbandonare quella che Paolo nella lettera agli Ebrei (10,25) chiama “la comune adunanza”, cioè la chiesa, il popolo di Dio nella sua forma locale. Essa è una condizione essenziale, stabilita da Cristo per una spiritualità sana, matura, vivace e adatta al servizio. Warfield mette in guardia dalla pigrizia e dall’attivismo e infine dall’arroganza. Lo studio della teologia deve portare umiltà, deve alimentare la nostra fame per la parola di Dio, come ci mostrò il Signore Gesù che non si sentiva autorizzato a disertare ed era “assiduo al tempio”, badando bene a ciò che ascoltava.
Per la grazia di Dio lo studio della teologia oggi non è più appannaggio esclusivo dei più ricchi, degli uomini a scapito delle donne, o degli uomini chiamati al ministero pastorale a scapito delle professioni in generale. Le possibilità che oggi sono a nostra disposizione in Italia sono innumerevoli: case editrici, corsi teologici, riviste di teologia, conferenze nazionali e internazionali, corsi in collaborazione con università straniere. La teologia è accessibile a tutti noi nelle forme più disparate ed essa può offrire alla nostra multi-sfaccettata vocazione divina una ricchezza di consapevolezza, di pensiero, di strumenti e di visione impensabile ai tempi di Warfield.
Nel nostro contesto contemporaneo, nel quale la vocazione assume profili molteplici e in cui ogni vocazione è parte della missione integrale di Dio, che posto ha lo studio della teologia? Quanti studenti universitari affiancano al proprio percorso di studi “secolari”, un percorso di studi teologici? Quanti lavoratori ritengono un arricchimento fondamentale alla loro etica professionale, abbonarsi ad una rivista teologica? Quanti genitori ritengono che accrescere la propria conoscenza di Dio e della storia della chiesa possa contribuire alla crescita della propria persona, della propria famiglia e della propria chiesa locale?
Lo studio della teologia inoltre dovrebbe aiutarci a riconoscere la centralità della chiesa locale nell’espansione del regno e a desiderare di vedere sempre più chiese nascere e crescere nelle nostre città. A sua volta la chiesa ha un ruolo importante da svolgere nello sviluppo del pensiero credente, nella consapevolezza della grande influenza che tutte le vocazioni hanno nel compimento del mandato divino. Le nostre chiese incoraggiano la formazione? C’è un budget delle offerte della chiesa destinato a incoraggiare lo studio? La formazione teologica è vissuta come un affare privato, oppure essa apporta un valore aggiunto alla vita della chiesa locale? Ci rende più umili, disponibili, partecipi, intraprendenti, più pronti a riconoscere i bisogni altrui, o ci allontana dalla chiesa?
(Questo articolo è la sintesi della relazione tenuta il 19/5/2021 all’ICED di Roma nell’ambito della serie “1921-2021: La fede evangelica tra ieri e domani” in occasione dei centenari di B.B. Warfield e J. Stott)