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All’intelligenza artificiale non deve pensarci solo Google

Da semplici “muscoli” al servizio della mente umana, le macchine stanno diventando “sapienti” quasi quanto l’uomo. Dai grossi calcolatori passando per i computer, siamo arrivati ad una tecnologia che non è in grado solo di processare dati e informazioni in maniera veloce, ma a veri e propri dispositivi che interagiscono con l’uomo svolgendo attività che “sembrano” essere intelligenti. Benvenuti nel mondo dell’intelligenza artificiale (IA).

Gli sviluppatori possono programmare algoritmi in grado di vendere e acquistare azioni in borsa, raccogliere informazioni più dettagliate possibili di ogni utente in rete, calcolare gli interessi di ognuno di noi e vendere queste informazioni per aumentare la vendita di beni di consumo e non solo. Siamo di fronti a quella che Floridi ha definito la “quarta” rivoluzione. Come rispondere a questa sfida? La rivista Studi di teologia ha recentemente pubblicato un supplemento su “Intelligenza artificiale”, N. 19 (2021) che contiene articoli e documenti essenziali. Su questa domanda è tornata l’iniziativa “Libri per Roma” dell’Istituto di Cultura Evangelica e Documentazione, dove, alla presenza dell’Autore, è stato presentato anche il volume di Paolo Benanti Le macchina sapienti. Intelligenza artificiale e decisioni umane, Bologna, Marietti 2018. Benanti è professore di teologia morale alla Gregoriana con all’attivo molti libri sull’argomento.

Parlando degli sviluppi nel corso del tempo, Benanti ha fatto riferimento al fatto che l’intelligenza artificiale non è altro che una macchina che si adatta alle condizioni esterne. Grazie a qualche pratica di programmazione definita “loop cibernetico” ogni intelligenza artificiale è in grado di cambiare in relazione all’ambiente circostante. Le macchine non sono solo “muscoli” a sostegno dell’attività dell’uomo, ma è anche “cervello” perché hanno memoria, sono capaci di registrare gli eventi e le informazioni. Questo permette alle IA di convivere con l’uomo, ad esistere per e con l’essere umano anche perché il loro circuito informativo è in relazione all’umano. 

L’IA non è solo capace di fare calcoli e previsioni, ma è anche capace di produrre comportamenti diversi. Ci troviamo di fronte ad una macchina sempre più “umanizzata”. Le trasformazioni sociali sono enormi. È interessante notare che la marea di dettagli personali, dei gusti individuali, delle credenze, delle preferenze sono tutte raccolte in una nuvola di informazioni per mezzo di un “acconsento”. Con un semplice e apparentemente banale atto si entra in una piattaforma “intelligente” che misurerà e orienterà la nostra vita. E’ una sfida etica, è una sfida antropologica.

Basteranno i codici etici delle multinazionali a regolarlo? Ci sono limiti all’espansione dell’IA? Sarà mai attraversata la soglia che distingue la macchina e l’uomo? Invece di usare l’IA saremo usati da essa? Più radicalmente: lo sviluppo tecnologico è neutro, basta lasciarlo andare avanti da solo? Gli uomini e le donne sono in fondo “buoni” e saranno in grado di gestire questo mondo di intelligenze artificiali senza esserne sopraffatti?

Nel dibattito seguito alla presentazione del volume, tra gli altri spunti, è emersa la questione antropologica. Da buon teologo francescano, Benanti ha dato voce ad un’antropologia sostanzialmente ottimista: in fondo, l’uomo è sì capace di compiere disastri ma se ben guidato ha in sé le risorse per fare il bene anche in relazione all’IA. Diverso è l’orientamento antropologico riformato. Contro Erasmo che sosteneva il “libero” arbitrio, Lutero diceva che la libertà umana è “serva” del peccato. Per la fede evangelica, lo spazio di libertà è limitato e compromesso, e comunque incapace di invertire il corso della storia dopo la caduta di Adamo ed Eva, se non grazie alla venuta del Secondo Adamo, il Signore Gesù che ci libera dalla nostra schiavitù.

Ciò non vuol dire che, in forza della responsabilità derivante dal mandato culturale e nella cornice della grazia comune, non si debba e non si possa affrontare la sfida di creare cultura (quindi anche l’IA) in modo utile e partecipato. L’IA è un campo che mette alla prova la nostra visione del mondo. Che ci piaccia o meno ci siamo già dentro e non possiamo pensare che alla sfida dell’IA ci pensi Google.


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