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Amazing Grace, Stupenda grazia, 250 anni dopo

Mentre il mondo evangelico quest’anno celebra diversi anniversari, ce n’è un altro, forse insolito, ma non meno importante da ricordare. E’ nota l’importanza dell’innologia per la fede evangelica. In particolare alcuni inni hanno plasmato la storia. È il caso di Amazing Grace, in italiano Stupenda grazia, che quest’anno celebra i 250 anni dalla sua composizione.

Fu intonato, infatti, per la prima volta nel 1773, durante il culto di Capodanno della chiesa di St Peter and St Paul, nella città mercato di Olney, nel Buckinghamshire (Inghilterra). A presentarlo alla congregazione fu John Henry Newton, all’epoca pastore della chiesa anglicana per accompagnare il suo insegnamento su 1 Cronache 17,16-17.

La fortuna dell’inno non fu immediata, ma ad oggi non c’è evangelico che non ne conosca la melodia e non lo senta parte del patrimonio della tradizione evangelica mondiale. Diffusosi presto tra le chiese di tutte le denominazioni in America, divenne il canto del risveglio, uno spiritual afroamericano e poi un classico negli innari del Ventesimo secolo. Ben presto passò anche alla musica commerciale nell'era della radio con artisti come Mahalia Jackson nel 1947 e Judy Collins nel 1970. Da allora è diventato l'inno più popolare e conosciuto al mondo. 

Nella tradizione italiana il canto è molto diffuso e conosciuto e ha appena dato il titolo al nuovo innario cristiano Stupenda grazia, frutto del lavoro di un gruppo di chiese e adottato anche dalle Chiese evangeliche riformate battiste in Italia , proprio per richiamarne l’appartenenza ad una storia consolidata.

La storia dell’inno colpisce anche per la biografia dell’autore il quale, prima di convertirsi e servire fedelmente la chiesa inglese, aveva passato molti anni in mare come capitano di navi negriere partecipando alla tratta di esseri umani in modo attivo e comportandosi in modo libertino e dissoluto fino a fare professione di ateismo.

Dopo la sua conversione Newton non solo si dedicò al servizio della chiesa, ma fu impegnato a sostenere l’opera di William Wilberforce, il primo politico a interessarsi dell'abolizione della schiavitù dei neri nel parlamento inglese. Wilberforce lottò strenuamente per l’abolizione della schiavitù e tutta la sua vocazione politica fu plasmata dalla sua fede e a sostenerlo ci fu sempre la guida spirituale di Newton si era pentito amaramente dei suoi anni da mercante di schiavi e con ogni probabilità il testo del canto fa proprio riferimento a questo passato oscuro, illuminato dalla grazia stupefacente del Signore.

Newton morì nel 1807, esattamente l'anno che vide l'abolizione della tratta degli schiavi in tutti i domini inglesi. Sulla sua lapide sono incise, per sua volontà, le parole pronunciate poco prima di morire:

John Newton, ecclesiastico, un tempo infedele e libertino, servo degli schiavisti in Africa, fu, per grazia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, conservato, redento, perdonato e inviato a predicare quella fede che aveva cercato di distruggere

La storia dell’inno poi è diventata indipendente da quella del suo compositore, cambiando melodia, cambiando titolo che inizialmente era "Faith's Review and Expectation" e vedendo sostituite, integrate o tagliate delle strofe nelle molteplici versioni. 

Quello che però non cambia è la potenza delle parole che il compositore seppe esprimere per descrivere la magnificenza della grazia immeritata del Signore capace di donare la vista ai cechi e una via a chi è perduto. In queste parole si riconosce la tradizione evangelica che nei secoli ha plasmato la propria teologia, e quindi la propria innologia, sul Sola Grazia riscoperto dai Riformatori. 


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