Bavinckiana (VI). Dio soffre e gioisce con noi … eppur non cambia!

 
Bavinkiana VI
 

Tra gli attributi incomunicabili di Dio, elencati e approfonditi da Herman Bavinck (1854-1921) nella sua Dogmatica, figura l’immutabilità. In netta contrapposizione all’essere umano, soggetto al divenire e quindi all’inevitabile decadimento fisico e mentale, il Creatore del cielo e della terra è “immutabile nella sua esistenza ed essenza” ed “è tale anche nel pensiero e nella volontà, in tutti i suoi piani e nelle sue decisioni” (p. 207). La Bibbia attesta che Dio partecipa attivamente alla vita delle sue creature dimostrando che, pur nella sua immutabilità, Egli non è insensibile a ciò che sperimentano: “Nella vita dei figli di Dio, c’è un alternarsi coerente di sentimenti di colpa e della coscienza del perdono, delle esperienze dell’ira di Dio e del suo amore, del suo abbandono e della sua presenza” (p. 207).

Sia i filosofi sia i teologi hanno riflettuto nel corso della storia su questo fondamentale attributo: Aristotele deduce che il creatore del mondo, il primo mobile, è “eterno, necessario, immutabile, privo di composizione, privo di potenzialità, di materia, non diveniente” (p. 207), mentre Agostino osserva attraverso lo studio delle Scritture che “l’immutabilità di Dio deriva direttamente dal fatto che egli è essere supremo e perfetto” (p. 208) e nemmeno gli eventi storici da Lui decretati hanno intaccato la sua immutabilità: “Né la creazione, né la rivelazione, né l’incarnazione hanno portato alcun mutamento in Dio; non è mai nato nessun nuovo disegno; in Dio c’è sempre stata una sola volontà immutabile” (p. 209). La conoscenza di quest’attributo divino non è prerogativa dei grandi nomi sopracitati, ma una verità accessibile ad ogni essere vivente: Bavinck sottolinea che nonostante l’immutabilità di Dio sia impercettibile ai sensi, essa è sensibile all’anima: “tuttavia all’interno della propria anima, gli uomini vedono e trovano quel qualcosa di immutabile che è migliore e più grande di tutte le cose che sono soggette al divenire” (p. 208). 

Non stupisce sapere che anche questa caratteristica propria di Dio è stata oggetto di critiche e contrasti da parte di diverse fazioni: se da un lato Epicuro ritiene che gli dèi siano superuomini suscettibili di cambiamento, dall’altro, i pelagiani, i sociniani, gli arminiani e i razionalisti, affermano che la volontà di Dio sia legata all’azione umana e ciò vorrebbe dire che il Creatore è incatenato alla condotta delle sue creature e non indipendente da essa. A detta di Bavinck, ancor più grave è il pensiero panteista che pone un confine così labile e fluido tra il Creatore e la creatura da concepire Dio come “una forma di essere che non è niente, ma che può diventare qualsiasi cosa” siccome Egli è “una massa di esistenza potenziale [che] attraverso un processo, si eleva gradualmente fino a diventare realtà” (p. 210). Non manca all’appello neanche la teologia moderna, la quale, in netta contrapposizione ad Agostino, individua nella creazione, incarnazione ed espiazione il momento in cui Dio è mutato perché entrato in contatto con il mondo da lui stesso creato (pensiero che verrà approfondito dai sostenitori della “teologia del processo”).   

Bavinck risponde a spada tratta con le parole della Bibbia, le quali affermano che in Dio “non c’è variazione né ombra di mutamento” (Giacomo 1,17) e che Egli è la Roccia eterna sul quale contare e rimanere saldi (Deuteronomio 32,4). I padri della chiesa e autori a loro coevi usarono l’espressione “causa sui” (sua propria causa), ma nemmeno questa definizione può permetterci di comprendere integralmente la natura immutabile di Dio siccome “il divenire presuppone una causa, poiché non c’è divenire senza causa. Ma l’essere in senso assoluto non consente più l’indagine sulla causa; l’essere assoluto è in quanto è” (p. 214). Non bisogna neppure sbilanciarsi all’estremo opposto confondendo l’immutabilità con “una monotona identicità o una rigida immobilità” (p. 214) e assumere una visione pseudo-deista annullando la partecipazione di Dio nella vita delle sue creature. Il teologo olandese osserva a ragion veduta che “vi è mutamento intorno, vicino e al di fuori di lui, e vi è mutamento nei rapporti degli uomini con lui, ma non vi è mutamento in Dio stesso” (p. 215). Nonostante sia un concetto difficile da comprendere e ancor di più da spiegare, Bavinck, anziché ritrarsi e cercare scappatoie che possano conciliarsi con i limitati ragionamenti umani, riconosce che “la grandezza di Dio, e implicitamente, la gloria della confessione cristiana, sono precisamente nel fatto che Dio, benché immutabile in se stesso, possa chiamare all’esistenza le creature divenienti” (p. 215).

Giunti a questo punto è utile chiederci, onde evitare di limitare la teologia a una conoscenza puramente nozionistica, quali sono le ripercussioni dell’attributo divino appena esaminato nella vita di ogni giorno. Essere al cospetto di un Dio che non cambia, ma che simpatizza con il suo popolo ed è sensibile alle sue grida, ci porta ad avere una ferma e sicura fiducia nella sua persona. Il perfetto connubio tra immutabilità e simpateticità ci permette di affermare che Dio è un sicuro rifugio (Salmo 91) perché nei momenti in cui ci rivolgiamo a Lui siamo certi che comprenderà il nostro stato d’animo e che quest’ultimo non scalfirà la sua persona rendendola suscettibile e succube delle nostre emozioni. Anzi, in sua presenza, siamo noi ad essere cambiati, trasformati e santificati. Dinnanzi al Dio immutabile, l’uomo si rende conto del suo peccato e si converte a Cristo mentre il credente si umilia nel riconoscere le sue mancanze ed è incoraggiato a crescere e perseverare nella corsa “fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4,13).