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Il beneficio di Cristo (I). Un libriccino del Cinquecento da riscoprire

“Il Trattato utilissimo del beneficio di Gesù Cristo crocifisso verso i cristiani fu stampato per la prima volta in Venezia nel 1543 presso la tipografia di Bernardo de’ Bindoni…Ebbe subito un successo enorme e se ne ebbe una ristampa nello stesso anno, forse a pochi mesi di distanza”. [1]

Come dice lo storico Caponetto, “l’operetta fu uno dei best-sellers del Cinquecento” (p.8).  Quando uscì la paternità del libriccino era anonima. Questo perché Il beneficio di Cristo e la teologia riformata promulgata da esso furono condannati da Roma. Infatti, il 21 luglio 1546 fu condannato dal Concilio tridentino dal vescovo di Aquino Galeazzo Florimonte. Poi “si scatenò una caccia inquisitoriale così pertinace da distruggere quasi tutti gli esemplari italiani” (p.8) di Il beneficio di Cristo. “Leopold von Ranke, nel 1834, lo considerava definitivamente perduto” (p.8).

Grazie a Dio, nel 1855 Churchill Babington scoprì l’unico esemplare del 1543 e lo stesso anno lo pubblicò a Londra “in fac-simile assieme alla traduzione francese del 1552 e a una traduzione inglese del 1548…” (p.9). La paternità del libriccino a quell’epoca fu attribuita al martire della Riforma Aonio Paleario; tuttavia, dopo le indagini degli anni recenti la querelle della paternità è ormai esaurita. I suoi autori furono due: Benedetto da Mantova e Marcantonio Flaminio. 


Benedetto fu un monaco di san Benedetto chiamato don Benedetto da Mantova, “il quale disse averlo composto mentre stette nel monastero della sua religione in Sicilia presso il monte Etna; il qual don Benedetto, essendo amico di messer Marcantonio Flaminio, li comunicò il detto libro, pregandolo che lo volesse polire e illustrare col suo bello stile, acciò fosse tanto più leggibile e dilettevole; e così il Flaminio, lasciando integro il soggetto, lo reformò secondo che parse a lui… (p.10). Quindi ci fu uno scambio tra i due ed entrambi contribuirono alla sua stesura.


Quali erano i contenuti di questo libriccino? Perché scatenò la reazione della chiesa a Roma? Perché fu condannato a Trento e perché si scatenò una caccia inquisitoriale per distruggere tutti gli esemplari? Con questa serie di articoli vogliamo approfondire questo libriccino per capire meglio il suo messaggio e riscoprire ancora una volta quello che i riformatori riscoprirono del beneficio di Cristo durante la Riforma protestante. Intanto, l’operetta ha una sua particolarità: la sua tematica “si snoda, con organicità, attraverso sei capitoli di disuguale lunghezza: il primo è brevissimo e il sesto è il più lungo” (p.14). 


Giustamente Benedetto da Mantova e Flaminio iniziano nel primo capitolo con un discorso sul peccato e sulla miseria dell’uomo. “La Scrittura santa dice che Dio creò l’uomo ad imagine e similitudine sua (Genesi 1,26), facendolo, quanto al corpo, impassibile (non sottoposto alle sofferenze), e, quanto all’animo, giusto, verace, pio, misericordioso e santo.

Ma poiché egli, vinto dalla cupidità del sapere, mangiò di quel pomo proibito da Dio, perdette quella imagine e similitudine divina, e diventò simile alle bestie e al demonio, che l’aveva ingannato: percioché, in quanto all’animo, divenne ingiusto, mendace e crudele, impio e inimico di Dio; e, in quanto al corpo, diventò passibile e suggetto a mille incomodi e infirmità, né solamente simile, ma ancora inferiore agli animali brutali…così…ci hanno lasciato per eredità la iniustizia, la impietà e l’odio loro (cioè i nostri primi padri) verso Dio: di modo che è impossibile che con le forze nostre possiamo amar Dio e conformarci con la sua volontà…

Insomma questa nostra natura per lo peccato di Adamo tutta si corruppe e, sì come prima era superiore a tutte le creature, così divenne suggetta a tutte, serva del demonio, del peccato e della morte, e condennata alle miserie dello inferno” (p.27). Dunque, per iniziare ad apprezzare il beneficio di Cristo, bisogna essere consapevoli della gravità del peccato e della condizione di perdizione di tutti.


Ecco come l’operetta descrive gli effetti del peccato: “Il iudicio di tutto si perdette, e cominciossi a dire il bene male e il male bene, stimandosi le cose false per vere e le vere false; onde, ciò considerando, il profeta dice che ogni uomo è mendace e che non è alcuno che operi bene (Salmo 116,11)…Questa privazione di giustizia e questa inclinazione e prontezza ad ogni iniustizia e impietà si chama peccato originale, il quale portiamo con noi dal ventre della madre, nascendo figliuoli dell’ira (Efesini 2,3)…se vogliamo esser liberati, e ritornar a quella prima innocenza, ricuperando la imagine di Dio, è necessario che conosciamo prima la miseria nostra” (p.28). Sono presenti gli echi della lettura biblica del peccato, particolarmente sottolineata da Paolo e da Agostino.


Nel collocare la loro riflessione nell’insegnamento biblico, gli autori fanno anche riferimento ad uno scritto di Calvino in questo modo attestando il fatto di conoscerne l’opera. “Percioché, sì come niuno mai cerca il medico, se non conosce di esser infermo, né conosce la eccellenza del medico, né l’obbligo che gli deve avere, se non conosce che la sua infirmità è pestifera e mortale: così niun conosce Cristo, unico medico delle anime nostre, se non conosce l’anima sua esser inferma; né può conoscer la eccellenza di Cristo, né l’obbligo che gli dee avere, se non discende nella cognizione delli suoi gravissimi peccati e della infirmità pestifera, che abbiamo contratta per la contagione de’ nostri primi parenti (Calvino, Insti., II,8)” (pp.28-9). 


Così Benedetto da Mantova e Marcantonio Flaminio iniziano questo trattato. Non si tratta di un pensiero originale né nuovo. E’ l’insegnamento della Bibbia che viene ripreso. Un iniziale approfondimento del peccato è fondamentale. Questo perché non è possibile capire e apprezzare la bellezza del vangelo e il beneficio di Cristo senza una comprensione biblica del peccato e la sua gravità.

L’uno corrisponde sempre con l’altro. Se il peccato è piccolo, allora il beneficio di Cristo è altrettanto piccolo e insignificante. Se, però, il peccato è grande e grave, allora la croce di Cristo e il beneficio della sua morte sono altrettanto grandi e meravigliosi. 


(continua)

[1]: Dall’introduzione a Benedetto da Mantova e Marcantonio Flaminio, Il beneficio di Cristo, a cura di Salvatore Caponetto, Torino, Claudiana 2009, p. 7. Per i riferimenti successivi a questa opera sarà indicato il numero di pagina nel corpo dell’articolo.


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