Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), teologo biblico medievale

 
 

Nel 2024 non ricorre solo il 750 anniversario della morte di Tommaso d’Aquino (1225-1274), ma anche di Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), il principale teologo francescano del medioevo. Mentre il domenicano Tommaso incarna le istanze della teologia scolastica, il francescano Bonaventura dà voce all’afflato “spirituale” della teologia.

Tra le sue opere principali Itinerarium mentis in Deum[1] e Collationes in Hexaëmeron,[2] il Breviloquium è l’opera più sistematica di Bonaventura, una sorta di compendio della sua teologia.[3] Scritta nel 1257 e composta da settantadue capitoli preceduti da un prologo, in essa si trovano diversi elementi teologicamente degni di menzione.

Innanzi tutto, la struttura denota una significativa sottolineatura che, invece, è assente nelle Sentenze di Pietro Lombardo ed anche nella Somma teologica di Tommaso. Si tratta del Prologo dove Bonaventura disegna una robusta teologia della Scrittura come fondamento della fede. Per Bonaventura, “la verità della Sacra Scrittura è da Dio, tratta di Dio, è secondo Dio, ed è per Dio affinché meritatamente questa scienza appaia essere unica, ordinata e non immeritatamente chiamata teologia”. Della Scrittura si decantano l’ampiezza (Antico e Nuovo Testamento), la lunghezza (dal principio del mondo fino al giorno del giudizio), l’altezza (le gerarchie sotto il cielo nella chiesa, in cielo nelle schiere angeliche e sopra il cielo nell’ordine della Trinità), la profondità (i livelli di significato: letterale, allegorico, morale e anagogico) e il modo di procedere (narrativo, precettivo, proibitivo, esortativo, predicativo, promissivo, deprecativo, laudativo).

A questa presentazione della Scrittura segue un capitolo su come esporla nella predicazione. In questo abbozzo di omiletica medievale, Bonaventura suggerisce di seguire le linee presentate da Agostino nel De doctrina christiana: attenzione al senso letterale, interpretazione della Scrittura tramite la Scrittura; dove la Bibbia ha significati letterali e spirituali, dare conto di entrambi. Come si evince, si tratta della presentazione di una teologia della Scrittura dai tratti nitidamente evangelici.

Per Bonaventura, il Verbo ispirato abita nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo ma la sua rivelazione è pienamente normativa solo nella Scrittura. Solo la Scrittura è dotata di autorità suprema. Le altre autorità (santi, padri, concili, rivelazioni interiori, ragione) sono subordinate alla Scrittura e sono valide solo in quanto concordano con la Scrittura.

La Scrittura va interpretata in riferimento a Cristo e nello Spirito Santo. “Un passo della Scrittura dipende da un altro, anzi mille passi riguardano uno solo”. La lettura della Scrittura deve essere prolungata dalla meditazione, dalla preghiera e dalla contemplazione (infatti la Scrittura non è solo vera, ma anche bella … “non solo capisco, ma il mio cuore si accende”).

 

Ecco il ritratto del teologo secondo Bonaventura: “Nessuno creda che gli sia sufficiente la lettura senza la compunzione, la riflessione senza la devozione, la ricerca senza lo slancio dell’ammirazione, la prudenza senza la capacità di abbandonarsi alla gioia, l'attività senza la pietà, la scienza senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio non sorretto dalla grazia divina”[4].

Rispetto alla visione ottimista di Tommaso circa le facoltà noetiche della creatura peccatrice toccate ma non disabilitate, Bonaventura percepisce più nitidamente la radicalità delle conseguenze del peccato che, pur non estirpando il “pensiero dell’eternità”, lo torce e contorce al punto da renderlo irriconoscibile se la grazia non interviene. La vita umana è caratterizzata da un incessante cercare e non trovare, indagare e non capire, volere e non riuscire, respingere e continuare ad essere attratti. La via di uscita dalla inquietudo è soltanto la grazia. Si capisce come alcuni studiosi abbiano collegato Bonaventura non solo retrospettivamente ad Agostino ma anche proletticamente ai Riformatori del XVI secolo: infatti, “la scarsa fiducia nell’intelletto umano collega il pessimismo agostiniano di Bonaventura a quello dei Riformatori”.[5]

Rimanendo più attaccato al pensiero agostiniano e collegato ad una robusta dottrina della Scrittura, Bonaventura non è immune dalle idiosincrasie della teologia medievale soprattutto sul versante sacramentale e mariano.[6]


[1] Itinerario dell’anima a Dio, a cura di L. Mauro, Milano, Bompiani 2002.

[2] Sermoni teologici/1 Collazioni sull’Exameron, a cura di J.G. Bougerol (Opere vol. 6/1), Roma, Città Nuova 1994. Altra edizione: S. Bonaventura, La sapienza cristiana. Le Collationes in Hexaëmeron, a cura di V.C. Bigi, Milano, Jaca Book 1985.

[3] Opuscoli teologici/2 Breviloquio, a cura di L. Mauro (Opere vol. 5/2), Roma, Città Nuova 1996.

[4] Itinerario dell’anima a Dio, Prologo, n. 4, cit., p. 55.

[5] R. Van Nieuwenhove, An Introduction to Medieval Theology, Cambridge, Cambridge University Press 2012, p. 227.

[6] Per una presentazione più ampia del pensiero di Bonaventura, rimando al mio “Letture medievali (XII-XV secolo)”, Studi di teologia N. 70 (2023) pp. 219-226.