“Cancel culture” (II), niente di nuovo sotto il sole?
Non c’è niente di nuovo sotto il sole, anche per la “cancel culture”. E’ vero: nella sua versione attuale, la “cancel culture” ha delle particolarità nuove e diverse. Tutti i fenomeni culturali sono “nuovi” e talvolta rivendicano con forza una rottura rispetto al passato. A ben guardare, tuttavia, non sono completamente nuovi, ma forme aggiornate, elaborate e sviluppate di qualcosa che è già accaduto. Non c’è niente di nuovo sotto il sole, appunto.
In alcune letture critiche della “cancel culture” contemporanea si ha l’impressione di una certa superficialità, come se tutto fosse nato come un prodotto del neo-marxismo come reazione al trumpismo. Un minimo di consapevolezza storica aiuterebbe a mettere questo fenomeno in una cornice di più lungo respiro e a vederne le connessioni con pratiche già ampiamente documentate e sempre all’opera. Tendenze e pulsioni di “cancel culture” sono sempre esistite perché fare operazioni di pulizia periodica (della memoria, del proprio bagaglio, delle raccolte di carte, libri, armadi, cianfrusaglie, ecc.) è parte dell’ecologia umana.
Solo per chi ha una memoria biblica e cristiana, si pensi ad esempio alle smobilitazioni di templi, statue e vestigia dei culti pagani nell’Antico Testamento ad opera di re come Asa e Giosafat che mostrarono il loro zelo per l’Eterno tramite una sistematica campagna di “cancel culture”. Nel NT si ricordi il grande falò di Efeso dove i neo-convertiti al cristianesimo bruciarono i libri della magia a cui si erano in precedenza dedicati (Atti 19). Allargando lo sguardo alla storia della chiesa, sono note le secolari controversie sull’uso delle immagini nel culto che portarono gli iconoclasti a distruggere statue e riproduzioni di personaggi biblici o ecclesiastici. Nel voler eliminare l’immagine di Dio dell’Antico Testamento, ritenuta violenta rispetto a quella amorevole del Nuovo, una eresia come il marcionismo fu un tentativo di “cancel culture”: per Marcione, il cristianesimo doveva operare una cesura con l’Antico Testamento e prendere congedo da esso.
Proprio vicino a dove scrivo a Roma ci sono i “fori imperiali” che sono un museo a cielo aperto della “cancel culture”: qui alcuni templi pagani furono distrutti e sostituti da edifici ecclesiastici che ne presero il posto. Talvolta, la “cancel culture” fu chirurgica e radicale, altre volte si accontentò di aggiungere un altro strato alla cultura precedente in un’operazione di ridefinizione dello spazio religioso.
Allargando lo sguardo anche al di fuori della storia del cristianesimo, ci si rende conto che ogni ideologia, religione o movimento politico porti con sé una spinta a cancellare il passato e a resettare il presente. Celebre, anche se tragico, fu il tentativo “scientifico” della Rivoluzione francese di sostituire le memorie cristiane nel calendario con una nuova scansione del tempo “ripulita” dai richiami alla religione. Così come ancora viva la memoria di una massiccia operazione di “cancel culture” dopo la caduta di regimi totalitari: si pensi a quanti “fasci littori” siano stati abbattuti in giro per l’Italia dopo la fine del fascismo, ma anche ai cambi di nomi di città (da Stalingrado a San Pietroburgo) o di vie e strade (le vie Stalin, sopravvissute solo a Bologna, salvo errore) dopo il crollo del comunismo sovietico. Dopo la caduta del regime di Ceausescu in Romania o di Enver Hoxha in Albania, le statue del dittatore furono abbattute dalla folla inferocita. Lo stesso accade a seguito di ogni cambio di regime. Il vecchio viene “cancellato” perché ritenuto incompatibile col nuovo, anzi una minaccia per il nuovo che avanza e che si vuole presentare in contrapposizione col vecchio. Da parte sua, il nuovo corso ha bisogno di affermarsi mediante la soppressione del vecchio, stabilendo quindi una sorta di radicale idiosincrasia.
Questi sono solo alcuni esempi antichi e contemporanei per sottolineare il punto: la “cancel culture” che oggi si scaglia contro Cristoforo Colombo ed altri non è un fatto del tutto nuovo. E’ un fenomeno che emerge quando si avverte la necessità di un cambiamento radicale, quando i precedenti codici culturali di riferimento, i simboli di appartenenza, le memorie che amalgamano la società, i testi identificativi vengono considerati come incompatibili col “nuovo” e meritevoli di essere soppressi. Che la loro eliminazione fisica sia la soluzione migliore e più efficace per iniziare un tempo nuovo è da dimostrare. Che sia giusto farlo è discutibile. Ma almeno non si dica che è il neo-marxismo contemporaneo ad essere il solo demolitore che pretende di “cancellare” l’assetto culturale che sino a qualche anno fa era più o meno pacificamente accettato. La “cancel culture” è iniziata con Caino che uccise Abele per eliminarlo. Tutto il resto è figlio di quella soppressione.