Cornelius Van Til e l’Apologetica cristiana. Un’intervista a Pietro Bolognesi
In occasione della recente pubblicazione di Apologetica cristiana di Cornelius Van Til (Caltanissetta, Alfa&Omega 2023), abbiamo posto delle domande al prof. Pietro Bolognesi, docente di teologia sistematica presso l’Istituto di formazione evangelica e documentazione (IFED) e promotore del pensiero di Van Til in Italia.
Cosa si intende per apologetica cristiana?
Nell’ambito della teologia l’apologetica è la disciplina finalizzata all’affermazione della concezione cristiana della vita. Detto in termini molto semplici, essa cerca di rispondere ad altre visioni per persuaderle della bontà della fede cristiana.
Nel 1983 veniva pubblicato il fascicolo di Studi di teologia, “Apologetica oggi”, N. 11 (VS). A distanza di quarant’anni ritieni ancora importante coltivare questa disciplina? Perché?
Quarant’anni sembrano tanti, ma non lo sono se si pensa all’antichità della disciplina stessa. L’apologetica è stata infatti una delle pratiche più diffuse fin dai tempi apostolici e l’attenzione per essa ha scandito con alterne vicende il lavoro teologico nei secoli. Fino all’Ottocento gran parte delle Facoltà di teologia avevano una cattedra d’apologetica oltre a quelle dedicate alla Sacra Scrittura, alla teologia storica, a quella sistematica e a quella pratica. Ma sotto l’influenza del razionalismo, la cattedra d’apologetica è stata soppressa e oggi si contano sulle dita le Facoltà teologiche nel mondo che non hanno ceduto alle pressioni del tempo. A prescindere dalla presenza o meno di una cattedra, la fede cristiana è chiamata ad essere sempre pronta “per l’apologia” (1 Pt 3,15). Non tanto una difesa della fede, quanto l’affermazione rigorosa della concezione cristiana della vita in opposizione alle concezioni non cristiane di essa. Trattandosi d’una esplicita sollecitazione della Scrittura, sottrarsi a tale compito è una disubbidienza a Dio.
Nel fascicolo succitato, la figura di Van Til è stata introdotta per la prima volta in Italia con l’articolo di Alain Probst “Sistema apologetico e filosofico in Cornelius Van Til”. Nel 1995, in occasione del centenario della sua nascita, Studi di teologia gli ha dedicato un intero fascicolo (“C. Van Til 1895-1987”, N. 13). Come mai hai ritenuto importante che gli evangelici conoscessero il suo pensiero?
Nel mio ministero pioneristico mi sono confrontato molto presto con la necessità di presentare l’evangelo in un contesto esigente. La città di Padova, dov’è iniziato il mio ministero pubblico, ha mostrato d’essere assai esigente sia sul piano intellettuale che su quello pastorale, di qui l’esigenza d’un approccio radicato in una visione rigorosamente biblica. Non mi poteva essere d’aiuto un approccio razionalista. Non mi era neppure di grande utilità una concezione evidenzialista come quella che faceva capolino in alcune pubblicazioni evangeliche esistenti. Era necessario ripartire dal timore di Dio come punto di partenza della saggezza e l’approccio riformato rispondeva bene a tali esigenze. Dio era veramente Dio. Non so quanto sia stato colto il senso dello sforzo fatto e quanto sia stato realmente assimilato. Per molti, che tendono a servirsi d’una teologia da buffet, non è facile ripensare le categorie di fondo e farsene interpreti, ma ora ci sono spunti sufficienti a riflettere anche in questo campo senza scivolare nella superficialità. Certamente bisogna imparare a contestualizzare, ma mi pare ci siano gli elementi necessari a tale impegno.
Come può il presupposizionalismo aiutarci nelle conversazioni concernenti la fede che abbiamo con i nostri familiari, amici e conoscenti non credenti?
Se il presupposizionalismo fosse una tecnica diversa da quelle esistenti non aggiungerebbe molto alla testimonianza evangelica. Se però è un mezzo attraverso il quale si pone a fondamento delle conversazioni non nozioni neutrali tra credenti e non credenti che, come si sa, non esistono, ma si assume la rivelazione di Dio che tutti hanno e soffocano nell’ingiustizia (Rm 1), lo Spirito Santo ha un terreno reale attraverso il quale agire. Troppo spesso si trascura il fatto che l’incredulità non è tanto motivata da una convinzione intellettuale, ma da una decisione etica. Il “soffocamento della verità” la dice lunga sulla dimensione etica della questione! La realtà è però fatta di così tante attestazioni di Dio da poter essere intese chiaramente e noi credenti dovremmo forse avere maggiore franchezza nell’abitare l’azione dello Spirito Santo che agisce attraverso la Parola. La parresia dell’evangelo invita a fidarsi di esso.
Oltre che di apologetica, Van Til si è occupato anche di etica e di educazione cristiana (in italiano Cornelius Van Til, Saggi sull’educazione cristiana, Alfa&Omega, Caltanissetta, 2017). In che modo queste discipline sono collegate tra loro?
Se il mondo esiste e l’uomo è impegnato a vivere nel mondo di Dio, tutto ha a che fare con Lui. O siamo nell’alleanza con Lui e abbiamo la possibilità di vivere in armonia col Suo mondo, o siamo fuori dall’alleanza e viviamo in qualche tensione con quel mondo. L’etica e l’educazione cristiana rimandano a quel conflitto e non si può fare astrazione delle inevitabili conseguenze. Grazie però a Cristo è possibile immaginare e lavorare per la riconciliazione di tutte le cose. Si tratta d’una visione straordinariamente provocante. La rivelazione biblica, che invita a rendere ragione della speranza, è anche quella che può sostenere nell’elaborare un’etica e un’idea dell’educazione cristiana adeguate al mondo. Si tratta di una vocazione densa d’attrazione anche se in questo tempo non vedremo mai tutte le cose riconciliate con Lui.
La recente emeritazione di William Edgar, apologeta di grande calibro e curatore del libro in questione, getta luce sullo stato della disciplina. Secondo te, quali sono le questioni odierne alle quali gli apologeti devono prestare maggiore attenzione?
Anche questa è una grande domanda alla quale non sono sicuro di saper rispondere in modo esaustivo. Immagino che il mio amico Edgar saprebbe rispondere meglio di quanto non possa fare io, ma azzardo qualche pista. Mi pare ci sia bisogno d’investire nell’elaborazione d’una vera etica. Basta pensare ai profili della bioetica esistenti. Non ci sarebbe bisogno d’una bioetica diversa da una cattolica e da quella laica? Una bioetica che si fondi sugli stessi assunti della teologia e che ne espliciti la fragranza a livello concreto? Nel conflitto esistente in cui non basta sottolineare i limiti e le aporie delle altre visioni, bisogna aprire varchi di riflessione diversi. Oltre alla bioetica, una seconda pista sarebbe quella del confronto tra religioni. È possibile fare i conti con la pluralità esistente senza scivolare in un pluralismo a oltranza? Il terreno su cui si muoveva l’Occidente è diventato friabile e bisogna osare un confronto con opzioni sempre più esigenti all’interno e all’esterno. Mi pare che l’apologetica potrebbe aiutare a fare i conti con la pluralità senza strisciare nel pluralismo. Si tratta d’imprese non facili, ma Dio c’è ed è all’opera grazie al Suo Spirito.