Definire il cattolicesimo romano (V): antropologia ottimista ed ecclesiologia abnorme

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Passo dopo passo, sta prendendo corpo il tentativo di definizione del cattolicesimo romano da un punto di vista evangelico. La sintesi proposta è stata la seguente:  

Il cattolicesimo romano è una deviazione dal cristianesimo biblico

consolidatasi nei secoli

riflessa nell’introiezione dell’istituzione imperiale romana

fondatasi su una teologia antropologicamente ottimista e su un’ecclesiologia abnorme

definitasi intorno al suo sistema sacramentale

animata dal progetto cattolico (universale) di assorbire il mondo intero

risultante in una religione confusa e distorta.

E’ arrivato il momento di approfondire il fondamento teologico del cattolicesimo: una teologia antropologicamente ottimista e un’ecclesiologia abnorme. Si tratta dei due assi portanti di tutto il sistema teologico cattolico: quello su cui tutto il resto trova legittimazione teologica. 

Il primo asse riguarda, tecnicamente parlando, il rapporto natura-grazia o, come la ha utilmente denominato Gregg Allison nel suo libro Roman Catholic Theology and Practice: An Evangelical Assessment (2014), la “interdipendenza tra natura e grazia”. Nella comprensione della realtà, il cattolicesimo riconosce il dato della creazione di Dio (la natura) e ha un senso della grazia di Dio. La natura (l’universo, il mondo, l’umanità) esiste, così come la grazia divina esiste in relazione ad essa. Ciò che manca in questo schema è una biblica e quindi realista comprensione del peccato. Nella visione biblica del mondo, il primo atto è la creazione cui segue il secondo della rottura dell’alleanza determinata dal peccato, con effetti devastanti e a cascata su tutto. Il cattolicesimo, pur avendo una dottrina del peccato, non ne ha una biblicamente radicale. Pur considerando il peccato una malattia grave, non lo considera la morte spirituale. Per il cattolicesimo la natura, prima e dopo il peccato, è sempre “capax dei”, intrinsecamente e costitutivamente aperta alla grazia di Dio. 

Per questa ragione, il cattolicesimo è pervaso da un atteggiamento fiducioso nella capacità della materia naturale di oggettivare realmente la grazia (il pane che diventa corpo di Cristo, il vino che diventa sangue di Cristo, l’acqua del battesimo, l’olio dell’unzione, ecc. che veicolano la grazia), nella capacità della ragione di sviluppare una “teologia naturale”, nella capacità della persona di cooperare e di contribuire alla salvezza con le proprie opere, nella capacità delle religioni di essere vie verso Dio, nella capacità della coscienza di essere il punto di riferimento veritativo, nella capacità delle realizzazioni umane di incrementare il regno di Dio, nella capacità del Papa di parlare in modo infallibile quando lo fa ex cathedra. Detta in termini teologici, la grazia interviene per “elevare” la natura al suo fine soprannaturale, facendo leva su di essa e presupponendo la sua intaccata capacità di farlo. Pur se indebolita dal peccato, la natura mantiene la sua capacità di interfacciarsi con la grazia perché la grazia è iscritta in modo indelebile nella natura. Il cattolicesimo non distingue tra “grazia comune” (con cui Dio preserva il mondo dal peccato) e “grazia speciale” (con cui Dio salva il mondo) e, pertanto, è pervaso da un ottimismo nelle facoltà naturali di corrispondere alla grazia. 

Il secondo asse portante del cattolicesimo corre sulla relazione tra Cristo e la chiesa. Nella terminologia di Allison, si tratta della “interconnessione tra Cristo e la chiesa”. L’idea di fondo è che, dopo l’ascensione di Gesù Cristo risorto alla destra del Padre, c’è un senso in cui Cristo sia “realmente” presente nel suo “corpo mistico” (la chiesa) che è inseparabilmente connesso all’istituzione gerarchica e papale della chiesa romana. Per il cattolicesimo romano, l’incarnazione di Cristo non è finita con l’ascensione ma è prolungata nella vita sacramentale, istituzionale e docente della chiesa. Quest’ultima esercita gli uffici regale, sacerdotale e profetico di Cristo in senso reale e vicario: tramite i preti che agiscono “in persona Christi” la chiesa governa, dispensa la grazia e insegna la verità. 

Le prerogative di Cristo sono trasposte nella auto-comprensione della chiesa: il potere della chiesa è universale, i sacramenti della chiesa trasmettono la grazia “ex opere operato” (in ragione del loro essere attuati), il magistero della chiesa è sempre verace. La distinzione biblica tra “capo” (Cristo) e “membra” (chiesa) è confusa nella categoria del “totus Christus” (il Cristo totale che comprende entrambi). Le conseguenze di questa confusione impattano (ed inquinano) tutto. La chiesa mistica-sacramentale-istituzionale-papale è pensata in modo gonfiato, abnorme. Ciò che il Signore ha promesso che sarà (senza macchia), la chiesa (romana) se lo attribuisce già nelle sue istituzioni e pratiche storiche in quanto si pensa in continuità con l’incarnazione di Gesù Cristo. 

Il cattolicesimo romano sta tutto dentro questi due assi: all’ottimismo di fondo basato sulla interdipendenza tra natura e grazia corrisponde il protagonismo dell’istituzione ecclesiastica romana fondato sull’interconnessione tra Cristo e la chiesa.