Jay Adams (1929-2020). Una vita per incoraggiare competenze bibliche nella consulenza
Se uno pronuncia la parola “consulenza” (counselling) nell’Italia evangelica, pochi farebbero l’associazione immediata al nome di Jay Adams (1929-2020), da poco spentosi. Da diversi anni ormai esistono decine di libri su temi legati alla consulenza di Paul Tripp, David Tripp, David Powlinson (1949-2019), Ed Welch, Robert Jones, Lou Priolo pubblicati da case editrici quali ADI-Media, Alfa & Omega, Passaggio e Coram Deo. Di Jay Adams esiste solo un libro, peraltro minore, in traduzione: Vivere Cristo in famiglia, Roma, Associazione Verità Evangelica s.d.
Eppure, non ci sarebbe nessuno degli autori sopra citati senza Jay Adams, il padre della consulenza biblica contemporanea o della consulenza “noutetica”. Adams è stato il capostipite, l’iniziatore, il capo scuola di quel movimento di consulenza biblica che, dagli Anni Sessanta in avanti, ha cambiato il panorama della consulenza evangelica partendo dagli Stati Uniti e propagandosi in tutto il mondo. Prima come pastore poi come professore di teologia pratica al Seminario di Westminster di Philadelphia (dal 1963) e poi in California (dal 1982), Adams ha insegnato, scritto, animato conferenza, creato istituzioni e reti per promuovere la consulenza biblica.
Adams ha pubblicato più di 100 titoli in inglese, ma è uno di quegli autori che, in realtà, hanno pubblicato un solo libro nella vita che poi hanno sviluppato, esteso, discusso in molti altri, ma non discostandosi dai temi portanti del primo. Competent to Counsel (1970) è l’opera principale di Adams, riprodotta in tantissimi altri titoli affini.
In un tempo in cui la pastorale evangelica aveva preso la strada della “integrazione” nelle scuole psicologiche principali della cultura secolarizzata (in particolare quelle di Freud, Rogers e Skinner), Adams ebbe l’intuizione grazie alla quale la consulenza cristiana non doveva essere una noticina a piè pagina della psicologia secolare, ma avere il coraggio di fondarsi sulla visione biblica del mondo. Questa visione doveva prendere come punti di riferimento non la concezione dell’uomo, del disagio psichico e dei rimedi propri di terapie umanistiche, ma quella biblica secondo cui siamo creature peccatrici bisognose della redenzione di Cristo in ogni aspetto della vita, compresa quella della nostra interiorità. Da qui nasceva l’appello a prendere la Bibbia sul serio anche nella consulenza e non di accontentarsi ad appiccicare qualche versetto biblico a pratiche psicologiche riduttive e fuorvianti perché contrarie alla prospettiva biblica o troppo riduttive e superficiali per essere veramente efficaci.
Per Adams, anche la consulenza doveva essere centrata sulla visione biblica dell’uomo: avere la Bibbia come testo di riferimento, la creaturalità come cornice antropologica, la dottrina del peccato come chiave di lettura dei problemi, l’opera di Cristo come pista di guarigione olistica, la chiesa come comunità sanante entro la quale riscoprire e sperimentare l’umanità redenta. Questo approccio ha liberato la consulenza da una certa soggezione nei confronti della psicologia secolare e ha permesso a tanti credenti di impegnarsi nella consulenza senza scimmiottare le narrazioni delle scuole psicologiche.
L’impostazione di Adams, affinata dai discepoli e dai colleghi, è ora riverberata in tanti organismi e tante pubblicazioni che hanno messo al centro la “consulenza biblica” che si differenzia dai tentativi di integrare pezzi di fede dentro una tela che è determinata dalle scuole psicologiche alla moda. Anche per questo, anche se ora lui è col Signore, il servizio di Jay Adams è stato prezioso.