“E non ci indurre in tentazione”, ma Dio ci tenta?
Non appena leggiamo questo versetto e questa parte del Padre nostro, ci imbattiamo in due problemi che devono essere subito affrontati. Il primo è questo: perché il Signore ci insegna a pregare una preghiera che sembra - a prima lettura - contraddittoria? Cioè, non è che la Bibbia ci dice con chiarezza che il Signore non ci può tentare a peccare? La lettera di Giacomo rende questa caratteristica di Dio molto chiara. Giacomo 1,13 dice: "Nessuno, quand'è tentato, dica: 'Sono tentato da Dio'; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno..." Certo che Dio stesso non può essere tentato, ma questo versetto dice anche che Dio non tenta nessuno. Cioè Dio non tenta nessuno a peccare. Ecco perché Giacomo aggiunge nel versetto successivo: "invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce." Perché, allora, questo versetto del Padre nostro? Perché dobbiamo pregare al Signore di non fare una cosa che ha già promesso di non fare mai? Sembra contraddittorio. Quindi è problematico, no?
Infatti va notato che recentemente questo versetto si è trovato al centro di molte discussioni nella chiesa cattolica. I vescovi italiani hanno lavorato per un anno per riformulare queste parole. "Non ci indurre in tentazione" sono diventate "non abbandonarci alla tentazione". Questa riformulazione nasce dal disagio avvertito ad una prima lettura di questa parte del Padre nostro.
Questo, allora, è il primo problema. Il secondo è abbastanza simile. La Bibbia è chiara, Dio non tenta nessuno. Alla luce di questa verità, allora, forse la parola "tentazione" deve essere interpretata come "prova". Cioè anche se Dio non ci tenta, la Bibbia dice che a volte la fede del suo popolo viene provata. Quindi forse questa è la lettura giusta. Ma anche con questa lettura ci imbattiamo subito in un problema, che sorge sempre dalla lettura di Giacomo 1. Dal versetto 2 al versetto 4 leggiamo: "Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti".
Pensando ad esempi di questo tipo di prova nella Bibbia, vengono subito in mente i primi versetti di Genesi 22, che dicono: "Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abraamo e gli disse: 'Abraamo!' Egli rispose: 'Eccomi.' E Dio disse: 'Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va' nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò'". Conosciamo bene la storia, e sappiamo che questa prova fu molto benefica per la fede di Abraamo nel Signore. Oggi il Signore non prova il suo popolo in questa maniera, ma le prove ci sono. Può essere la perdita di una persona cara, o una malattia grave, o le persecuzioni se vogliamo pensare ai nostri fratelli e sorelle in Cristo in altre parti del mondo che stanno affrontando adesso prove molto difficili. Ma il Signore è all'opera per mezzo di esse, quindi devono essere affrontate con gioia, come dice Giacomo. Sicuramente non è facile, ma è la chiamata del discepolo di Cristo. Se, allora, le prove sono molto benefiche per il credente, non ha senso pregare al Signore di non indurci in esse, altrimenti il discepolo si perde un'ottima occasione per crescere nella fede.
Come dobbiamo comprendere, allora, questa parte della preghiera? Quando preghiamo queste parole, cosa stiamo pregando esattamente? Cosa stiamo chiedendo al Signore? Chiaramente non gli stiamo chiedendo di non tentarci a peccare, perché questo è contro la sua natura e non è possibile per lui. E non stiamo neanche chiedendo a lui di liberarci dalle prove della nostra fede, perché esse sono molto benefiche per il credente. Cosa, allora, stiamo chiedendo al Signore quando lo preghiamo di non indurci in tentazione ma di liberarci dal male?
Commentando su questo versetto del Padre nostro, John Stott osserva che il peccatore che è stato perdonato dai suoi peccati desidera essere liberato anche dalla futura oppressione del peccato sulla sua vita. Questa è una giusta osservazione, perché nel versetto precedente Cristo insegna ai suoi discepoli di chiedere perdono per i propri peccati, quindi adesso è giusto insegnare ai discepoli che devono essere liberati dalla tentazione di continuare a peccare. Tale tentazione non viene dal Signore, ma dalla propria concupiscenza che seduce sempre. Inoltre, la seduzione viene da Satana, che seduce con un’astuzia fortissima. La sua seduzione poi tenta il discepolo di Cristo a peccare contro il Signore.
È infatti esattamente questo che Paolo evidenzia nella sua seconda lettera ai Corinzi. Nel capitolo 11, versetto 3, Paolo scrive questo ai Corinzi: "Ma io temo che, come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così le vostre menti vengano corrotte e sviate dalla semplicità e dalla purezza nei riguardi di Cristo". E Pietro avverte il discepolo di Cristo di Satana nella sua prima lettera quando scrive nel capitolo 5, versetto 8 che "il diavolo va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare." O potremmo anche dire, "cercando chi possa tentare o sedurre." Il discepolo di Cristo, allora, deve essere attento, sobrio, e vigile. Deve pregare al Signore di non essere indotto in tentazione e di essere liberato dal male, o da Satana.
Commentando questo versetto, Leon Morris dice che la parola che viene tradotta in italiano come "male" (cioè liberaci dal male), nel greco originale può significare o il male, o il Maligno, cioè il diavolo. Mentre è la sua opinione che "il male" è la traduzione corretta, ammette che non cambia tanto il significato della preghiera e entrambe traduzioni hanno senso. È il diavolo che ci tenta al male. Le implicazioni della preghiera sono che il diavolo è troppo astuto e troppo furbo e troppo forte, e noi siamo troppo deboli per resistere alla sua astuzia. Ecco perché dobbiamo pregare al Signore di non indurci in tentazione ma di liberarci dal male. Noi siamo troppo deboli, ma colui che ha schiacciato il capo del diavolo e che ha vinto la morte è più che capace. Agli uomini è impossibile, ma a Dio ogni cosa è possibile. Quindi quando preghiamo questa preghiera, stiamo confessando al Signore la nostra totale dipendenza da lui.
Questo fa sorgere un'altra domanda molto importante per il discepolo di Cristo. Cioè: cosa significa dipendere totalmente dal Signore per la liberazione dal male? Non è che nei momenti in cui siamo tentati a peccare la mano del Signore ci prende e ci porta via ad un posto dove non c'è più la tentazione. Non è così. La realtà è che il discepolo, quando viene tentato, ha una decisione da prendere. O essere sedotto dalla propria concupiscenza, o resistere al male e fuggire. Questo è, infatti, il consiglio di Paolo a Timoteo. Nella sua seconda lettera a lui, capitolo 2 versetto 22, gli dice: "Fuggi le passioni giovanili e ricerca la giustizia, la fede, l'amore, la pace con quelli che invocano il Signore con un cuore puro". Ai Corinzi Paolo dice una cosa simile: "Fuggite la fornicazione" (1 Corinzi 6,18).
Quindi mentre il discepolo di Cristo dipende dal suo Salvatore per la liberazione, i momenti in cui viene tentato richiedono un'azione da parte sua. Deve fuggire e deve resistere. Poi Giacomo evidenzia altre azioni molto importanti per il discepolo di Cristo quando viene tentato dal male. Giacomo 4,7 dice che deve sottomettersi a Dio. 4,8 dice che deve avvicinarsi a Dio, e 4,10 dice che deve umiliarsi davanti al Signore.
Giustamente tutte queste azioni richiedono un movimento verso Dio e presupongono una totale dipendenza dal Signore. Quando il discepolo si sottomette a Dio, si sottomette alla sua parola e alla sua volontà per la sua vita. Non si può resistere al diavolo se non ci si sottomette al Signore e alla sua volontà. Non è affatto per caso, allora, che Gesù, pochi versetti prima nel Padre nostro, insegna ai suoi discepoli a pregare Dio affinché sia fatta la sua volontà. Il discepolo di Cristo, allora, resiste alla tentazione e resiste al male per mezzo della parola di Dio. Poi armato con la Bibbia, può fuggire dal diavolo. Il salmista lo afferma quando dice nel Salmo 119,11: "Ho conservato la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te". Alla fine della lettera che rivolge a loro, Paolo insegna agli Efesini che devono fortificarsi nel Signore e rivestirsi della completa armatura di Dio, prendendo la spada dello Spirito, che è la parola di Dio, affinché possano stare saldi contro le insidie del diavolo.
Inoltre, il discepolo di Cristo deve essere incoraggiato perché non deve combattere contro la carne e contro le tentazioni da solo. Come dice Paolo a Timoteo, il discepolo fugge le tentazioni e ricerca la giustizia con altri discepoli che invocano il nome del Signore. Cioè il discepolo resiste al diavolo insieme alla chiesa, che lo affianca e che lo incoraggia e che gli insegna la parola di Dio, cioè la spada dello Spirito con cui combatte contro il diavolo e la sua astuzia. L'astuzia di Satana è smascherata dalla parola di Dio, la parola che annuncia la buona notizia di Gesù Cristo, colui che ha schiacciato il capo del diavolo e che ha vinto la morte.
Infatti è Gesù Cristo che provvede ai suoi discepoli l'esempio migliore per come resistere alle tentazioni e al diavolo. Nel vangelo di Matteo, capitolo 4, Gesù viene condotto dallo Spirito Santo nel deserto per essere tentato dal diavolo. Quindi è chiaramente il diavolo - che viene chiamato il tentatore in Matteo 4 - che tenta Gesù a peccare. E lo tenta con la parola di Dio. Questa è l'astuzia di Satana. Prende la Bibbia, la corrompe, e ci tenta con essa. Ecco perché i discepoli di Cristo devono conoscere bene la parola di Dio, altrimenti vengono sviati dal diavolo e cadono. Ma per noi Gesù è un ottimo esempio. Era uno studioso della parola di Dio, e quindi era sempre pronto a resistere a Satana con essa. Vediamo che ogni volta in cui Gesù viene tentato da Satana, gli risponde con la verità della parola di Dio e vince le tentazioni.
Prendiamo coraggio, allora, perché come dice Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi, "Dio è fedele, e non permetterà che siamo tentati oltre le nostre forze; ma con la tentazione ci darà anche la via di uscirne, affinché la possiamo sopportare (1 Corinzi 10,13)". Infine, prendiamo coraggio, perché in Cristo Gesù la chiesa ha un sommo sacerdote, e come dice la lettera agli Ebrei, capitolo 4, "non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per...essere soccorsi al momento opportuno".
Prendiamo, allora, la spada dello Spirito Santo, che è la parola di Dio, avviciniamoci al Signore, e resistiamo alla tentazione e al diavolo, fidandoci di Gesù Cristo e dell'esempio che è per noi. Serviamo con fedeltà la chiesa, e annunciamo con fedeltà la parola di Dio, perché essa è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede.
(sintesi di una comunicazione tenuta alle Giornate teologiche 2021 dell’IFED di Padova sul tema “La preghiera questa sconosciuta”)