Elezioni 2022. Quattro chiavi di lettura

 
 

Quattro chiavi di lettura a caldo sulle elezioni del 25 settembre che hanno visto il netto successo di Fratelli d’Italia e la vittoria del centro-destra (pur con il crollo della Lega e la flessione di Forza Italia).

Risposta a preoccupazioni diffuse. La vittoria di uno schieramento che fa leva sulla “nazione” e sulle identità pregresse è in linea con le preoccupazioni che si registrano in Europa e altrove. E’ il caso dell’Ungheria, della Polonia, delle recenti elezioni svedesi. La crisi globale, la pandemia, la guerra, l’aumento del prezzo dell’energia, le migrazioni, … tutto questo suscita ansie che le destre sono in grado di interpretare meglio offrendo una proposta che sembra ansiolitica e rassicuratrice. Anche in Italia, la paura diffusa della recessione ha favorito letture della realtà forse semplificatrici, ma efficaci nel comunicare l’esistenza di presidi identitari di conforto per chi è già “dentro” e di protezione da chi è “fuori”. 

Contro il governo precedente. Fratelli d’Italia ha fatto opposizione ai governi Conte 1, Conte 2 e Draghi. Per tutta la legislatura è stata all’opposizione presentandosi quindi come voce critica e alternativa a chi si era cimentato in governi ad assemblaggio vario (Conte 1: M5S-Lega; Conte 2: M5S-PD; Draghi: tutti tranne FdI). Nel 2018 era toccato al M5S dare voce alla critica ai governi precedenti e aveva preso il 33%. Questa volta è toccato a FdI rappresentare l’insoddisfazione e il voto ha premiato l’opposizione fatta per 5 anni. Questo significa che, in tempi di crisi, chi sta fuori dal governo viene premiato dagli elettori alle elezioni successive. Vuol dire anche che, in stagioni di percepita precarietà, interpretare la “pars destruens” paga al giro successivo. Ora, legittimata dal voto popolare (anche se l’astensione è stata alta), la coalizione vincitrice dovrà misurarsi con la necessità di dare concretezza alla “pars constuens”. E’ più facile criticare l’esistente, ma quando si deve governarlo il gioco diventa molto più complesso. Saprà la coalizione vincente dare esecuzione ad un programma che dia risposte non solo retoriche alle preoccupazioni diffuse?

Ritorno della politica? L’esperienza del governo Draghi aveva di nuovo sottolineato la crisi della politica. Di fronte all’ennesima impasse, si era dovuto ricorrere ad una “riserva” della Repubblica: una figura come Draghi presentata come super partes col compito di svolgere un lavoro di supplenza rispetto alla politica. Ora, con la vittoria del centrodestra, che è una coalizione che si è presentata per governare (e non per fare opposizione), la palla passa di nuovo al campo della politica rappresentativa frutto del voto popolare. Avendo criticato il governo “tecnico”, il sistema politico ora reclama la sua soggettività e prova a riprendere in mano il pallino del gioco. Il ritorno della politica è comunque parte della fisiologia del sistema democratico che deve essere salutato positivamente. Questa legislatura sarà un banco di prova per testare la capacità della politica di navigare in tempi di crisi.

Punti interrogativi aperti. Molto si è discusso sul ruolo del fascismo nell’orizzonte culturale di FdI. Forse non in Giorgia Meloni o in altri esponenti di vertice, ma è fuori di dubbio che nella pancia di settori dell’elettorato di destra ci sono atteggiamenti ispirati ad una cultura totalitaria che disprezza le minoranze, gli stranieri, i dissidenti, ecc. in nome di una “identità” nazionale caratterizzata, tra le altre cose, dal cattolicesimo culturale (da non confondere col cristianesimo biblico!). Non basta qualche condivisibile riferimento alla “famiglia” o alla “vita” per oscurare il grave deficit di riferimenti alla libertà religiosa e al rispetto delle minoranze e nemmeno alla laicità dello Stato. Tristemente, questa lacuna era presente anche nei programmi degli altri schieramenti, a testimonianza del fatto che le offerte politiche italiane, per quanto differenziate su altri punti, sono accomunate da un deficit di considerazione del pluralismo istituzionale e religioso. Questo vulnus culturale italiano richiede un impegno della minoranza evangelica non solo a pregare per le autorità (come richiesto dalla Bibbia) ma anche a tenere vive le istanze irrisolte della libertà religiosa, di un assetto plurale delle istituzioni, della responsabilità diffusa nella vita sociale.