GT 2022 (IV). Sostenibilità, in che senso?
Le Giornate Teologiche organizzate dall’IFED di Padova (9-10 settembre) sono un evento in cui il dialogo e il confronto fanno parte degli obiettivi principali. Una, tra le varie sessioni di studio sulle tematiche della Transizione Ecologica, ha visto confrontarsi il Prof. Marco Frey (Università di Pisa) ed il Prof. Giuseppe Rizza (Università di Treno), per ragionare attorno al concetto di “sostenibilità”. Che cosa vuol dire, che dinamiche raccoglie, quali questioni pone in risalto?
Frey è un economista, una voce autorevole per ciò che riguarda la riflessione e lo sviluppo di un modello economico incentrato sulla sostenibilità, il quale ha sottolineato innanzitutto i principi ispiratori della sostenibilità, tenendo in considerazione la conferenza di Rio de Janeiro del 2012, il cui obiettivo è quello di rinnovare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile, verificare lo stato di attuazione degli impegni internazionali assunti negli ultimi due decenni e cercare di convogliare gli sforzi dei governi.
Per Frey, la sostenibilità ha a che fare sostanzialmente con la gestione delle risorse; una gestione che tenda ad una equità intergenerazionale, ovvero che non comprometta la fruizione delle risorse da parte delle future generazioni. Ma risorse di che tipo? Frey ne suggerisce tre tipi: risorse economiche, con una prospettiva di lungo periodo; risorse sociali, intese come la consapevolezza comunitaria della sostenibilità; risorse ambientali, ovvero l’ambiente come il contenitore delle risorse.
Al concetto di risorse si lega il concetto di capitale. Si parla dunque di capitale economico. È una questione non da poco come il debito pubblico si trasferisca immancabilmente alle generazioni che hanno ancora da venire. La soluzione starebbe in una crescita economica equilibrata e durevole nel tempo. Vi è poi il capitale sociale. È la capacità di fare e stare assieme di una comunità. Lo sviluppo di tale capitale starebbe proprio nella responsabilità e nell’attivismo civico. Infine, abbiamo il capitale ambientale. È forse l’elemento innovativo della riflessione economica degli ultimi anni, e si riferisce alla dispensazione di servizi ecosistemici, come ad esempio l’acqua potabile, gli insetti impollinatori ecc. La questione starebbe nel garantire la capacità rigenerativa di questo capitale. A tal proposito risponderebbe l’economia circolare che ricostituisce ciò che va a prendere dalla natura.
Questi tre capitali quindi sono i capisaldi, le colonne dell’economia sostenibile, Lo sviluppo umano (capitale economico e capitale sociale) ha un’impronta ambientale (ovvero quanto un Paese consuma). La situazione è evidente. Più si sta bene e più si consuma. Più lo stile di vita è alto, più sono numerosi i servizi che lo Stato può fornire, e meno risorse disponibili ci sono, più terra fertile viene consumata e maggiori sono le emissioni dei gas serra.
Tuttavia, ci sono alcune tendenze emergenti. Le recenti crisi economica e sanitaria hanno obbligato ad un certo disaccoppiamento tra crescita e uso delle risorse. In un contesto in cui è difficile aumentare l’uso di capitali, la partita si è giocata a livello dell’innovazione. Il valore delle attività economiche, quindi, è cresciuto pur mantenendo il medesimo dispendio di risorse. Fondamentalmente la prospettiva resta invariata, ed è quella della crescita, anche se verde.
L’intervento di Rizza si è articolato su tre sfide. La sfida del metodo, ovvero come la questione è senza dubbio molteplice e con diverse interdipendenze, e dunque vi sia la necessità di affrontarla in maniera sistemica. Una seconda sfida è la sfida morale. Si potrebbe dire che ai tre capisaldi di Frey manchi un quarto importante sostegno. La sfida morale si colloca a livello individuale, in particolare nella responsabilità civile e nell’uso parsimonioso delle risorse; si colloca a livello dei mercati che nella realtà non si autoregolano come ci si aspetterebbe; si colloca nei riguardi dello sviluppo tecnologico, che difatti non soddisfa tutte le aspettative ma piuttosto stimola solo altri consumi. La terza sfida invece sta nell’educazione, ovvero nello sviluppo di competenze adeguate e sensibili a questo tipo di sollecitazioni. Come si può pensare ad una crescita infinita in un mondo finito? Va riscoperto il concetto di limite. Limiti per la crescita economica, limiti per il benessere, limiti per lo sfruttamento delle risorse e limiti nello sviluppo tecnologico. È dunque una questione morale. Ci spaventerà, e sicuramente non produrrà seguito per gli economisti, ma si può anche parlare di decrescita.
Per gli evangelici, dunque, occorre sviluppare un pensiero sistemico, di ampio respiro e solido nelle sue fondamenta. Solo una robusta teologia può consentire una presenza reale e partecipata della riflessione attualmente in atto, ma anche serie e necessarie co-belligeranze (per usare un termine schaefferiano) che non annacquino o risucchino l’identità evangelica. Il fatto è che sostenibilità è un termine che con il cristianesimo c’entra e come! Lungi da Dio essere il dio orologiaio che fa e poi esce dalla storia, Egli è il sostegno della sua creazione. La transizione ecologica non tocca semplicemente l’uomo. L’universo è di Dio ed è lui che porta avanti la redenzione dell’uomo e pure del creato che soffre ed è in travaglio (Rm 8,22). L’uomo in questo esercita la sua responsabilità avendo cura, anticipando e proclamando il disegno di Dio qui ed ora. Ma il vero compimento apparterrà a Dio, che porta avanti la sua politica di sostenibilità redentiva. Maggiori approfondimenti possono essere trovati sul supplemento a Studi di teologia, “Transizione ecologica”, appena uscito.