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Il libretto d'oro della vita cristiana (III). Portare la propria croce

Il libretto d'oro della vera vita cristiana (De Vita Christiana, 1550) fu scritto da Giovanni Calvino (1509-1564) come riflessione su come il vangelo di Dio modella la vita di un credente. In seguito, fu incluso nei capitoli 6-10 della sua Istituzione della religione cristiana. Come indicato negli'articoli precedenti, Calvino descrive la vita cristiana come una vita di rinnegamento di se stessi, modellata a immagine di Cristo, il salvatore umile e obbediente. 

Il terzo capitolo del libro continua a parlare del rinnegamento di se stessi concentrandosi sulla parte più impegnativa di questa vocazione... la sofferenza o "portare la propria croce". Se il rinnegamento di sé è un aspetto fondamentale della vita cristiana, lo è anche la chiamata cristiana ad abbracciare la sofferenza. Essendo cresciuto nel contesto del Vangelo della prosperità, una simile affermazione mi sarebbe sembrata assurda. Tuttavia, la testimonianza delle Scritture è chiara: da entrambi i lati dell'opera espiatoria di Cristo e da questa parte dell'eternità, la chiamata del cristiano non è solo quella di abbandonare i desideri egocentrici, ma anche di abbracciare la sofferenza. C'è un cambiamento radicale nelle priorità della vita cristiana. Le ambizioni e le comodità personali devono essere considerate secondarie rispetto alla fedeltà a Dio e al servizio al prossimo. Questo cambiamento richiede l'accettazione della sofferenza. Gesù disse in Matteo 16,24: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua". Nelle parole di Calvino:

Tutti coloro che il Signore ha adottati e ricevuti come figli devono prepararsi ad una vita dura, travagliata, piena di tribolazioni e di mali di ogni genere. Piace al Padre celeste esercitare in questo modo I suoi servitori, al fine di metterli alla prova”.

Il coraggio di portare la propria croce è parte integrante dell'impegno quotidiano del cristiano che cerca di obbedire alla volontà di un Padre amorevole, nella cui provvidenziale cura siamo chiamati a riposare. Questo significa che la nostra sofferenza non è priva di significato.

Abbracciare la sofferenza non è un mezzo insignificante per portare la croce, è al centro di essa!

Calvino aiuta il cristiano a capire che siamo chiamati ad avere pazienza nel portare la propria croce perché il Signore la usa in vari modi per insegnare ai suoi figli e far crescere la loro fede in Cristo. In sintesi, ci sono vari modi in cui Calvino dice che Dio fa questo.

Portare la propria croce ci rende umili. Siamo tutti inclini alla vanità. Anche i più grandi servitori di Dio, come il re Davide, ce lo ricordano. L'abnegazione e la pazienza nella sofferenza sono un modo in cui Dio ci mantiene umili, mentre facciamo appello all'unico che può darci forza e grazia per sostenerci. Calvino scrive: "Essendo umili, impariamo a fare appello alla sua forza, che sola ci fa stare in piedi sotto un tale carico di afflizioni".

Portare la propria croce ci rende fiduciosi. Calvino ci ricorda le parole di Paolo ai Romani (5,3). Le prove e le tribolazioni creano pazienza, e la pazienza si sperimenta nell'affidarsi a Dio. Essendo paziente, il cristiano impara ad aspettare il Dio che dà sempre l'aiuto che ha promesso al suo popolo, ricordandoci ciò che ha fornito attraverso la croce di Cristo.

Portare la propria croce insegna l'obbedienza. La pazienza e l'attesa del Signore nelle nostre sofferenze non sono cose facili da fare. Quando diventiamo impazienti, possiamo essere tentati di tagliare i ponti e, invece di camminare in obbedienza alla volontà di Dio, creiamo i nostri modi e mezzi per alleviare i nostri fardelli. Calvino usa le parole di Pietro per ricordarci che dovremmo sempre chiederci cosa ci sta insegnando Dio, visto che siamo chiamati a rinnegare noi stessi e a obbedire a Dio:

Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell’oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo.” - 1 Pietro 1,7

Portare la propria croce rende più disciplinati. Questo è più difficile da digerire per noi. A chi piace essere disciplinato, dopotutto? Calvino dice che al cristiano dovrebbe piacere. Perché? Perché ci viene da un Padre amorevole e ci insegna a sottometterci alla sua perfetta volontà. Attraverso la disciplina, “il Signore ci previene e mette ordine, frenando e domando col rimedio della croce l’insolenza della nostra carne, in modi diversi, secondo quanto ritiene giovevole e salutare per ciascuno”.

Portare la propria croce porta al pentimento. Il risultato della disciplina amorevole è il pentimento. Questo è il senso di Calvino quando ci ricorda la lettera agli Ebrei: “Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli»” (Ebrei 12, 5-6). 

Calvino conclude il capitolo ricordando ai cristiani la gioia e la speranza che li attende attraverso la croce. La croce di Cristo è necessaria per la salvezza. Persecuzioni, prove e tribolazioni non potranno mai cambiare la speranza e il destino eterno dei figli di Dio. Lui è sovrano su di esse e le usa per plasmarci, per disciplinarci, per suscitare nei nostri cuori la compassione per gli altri che soffrono e per far crescere la nostra fede in colui che ha portato la croce più pesante di tutte, Gesù Cristo. Stiamo portando bene la nostra croce? Calvino ci incoraggia a farlo:

Ma poiché nulla è per noi veramente piacevole all’infuori di ciò che sappiamo esserci buono e salutare, il padre di misericordia ci consola in quanto afferma che, affliggendoci con una croce, provvede alla nostra salvezza. Se le tribolazioni sono per noi salutari, perché non le riceveremmo con cuore tranquillo anziché ingrato? Poiché sopportandole con pazienza non soccombiamo alla necessità, ma assentiamo al nostro bene. Queste considerazioni, dico, faranno sì che quanto più il nostro cuore sarà oppresso dalla tristezza naturale della croce, tanto più sarà dilatato da gioia spirituale. Se la lode del Signore e le azioni di grazia non possono uscire che da un cuore gioioso e allegro, e se nulla al mondo deve impedire, è evidente quanto sia necessario che l’amarezza insita nella croce venga temperata da gioia spirituale.” 

(continua)

Dalla stessa serie:
Il libretto d'oro della vita cristiana (I). Obbedienza umile, la vera imitazione di Cristo
Il libretto d'oro della vita cristiana (II). La rinuncia a sé stessi


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