Famiglie che educano. Intorno a un fascicolo di Studi di teologia

 
 

Le famiglie hanno sempre avuto un ruolo nell’educazione. A volte di un certo peso, altre volte più distaccato, ma sempre centrale nella vita di tutti. Nelle società moderne questo ruolo è stato via via demandato allo Stato che, tramite la fiscalità generale, ha istituito scuole e percorsi per educare i giovani a diventare cittadini.

Le famiglie hanno in qualche modo delegato allo Stato il compito di educare arrivando a ridurre notevolmente la loro responsabilità. Talvolta le famiglie hanno vissuto la delega come un vero e proprio disimpegno.

Dinanzi a tristi eventi di cronaca che vedono coinvolti bambini ed adolescenti commettere reati o assumere comportamenti violenti, non sono pochi coloro che pongono una domanda con una buona dose di rabbia: ma dove è la famiglia? 


Ogni visione del mondo, laica o religiosa che sia, di matrice cristiana o di altre fedi, ha un proprio modello di famiglia che educa o che dovrebbe educare. Su questo fascio di questioni interviene il fascicolo “Famiglie che educano”, Studi di teologia N. 71 (2024) a cura di Lucia Stelluti. L’articolo principale ha come titolo programmatico “Responsabilità e sfide per un ruolo da riscoprire”.


Nel ricco saggio, Stelluti analizza la responsabilità educativa dei genitori e la necessità di un riorientamento biblico per ripensare la cultura della delega e per riappropriarsi di un ruolo che spetta alle famiglie. 


Gli spunti da raccogliere sono tanti, ma in questo articolo mi soffermo su una sezione intitolata “La sovranità delle sfere”. Il presupposto di tale affermazione è quello di riconoscere che il Dio biblico ha determinato varie istituzioni che, nel rispettivo ambito di competenze, esercitano autorità senza invadere gli altri settori della vita.  

“La famiglia non deriva la sua autorità né da una Chiesa, né dallo Stato, la riceve da Dio stesso che ne definisce le responsabilità e i limiti”.

Applicato all’educazione, ciò vuole dire che se la Parola di Dio assegna alla famiglia il compito primario dell’educazione, questo non può essere delegato in toto ad altri. La soggettività della famiglia rimane e deve essere recuperata.

Altro aspetto che va evidenziato riguarda l’educazione integrale che mira ad educare la relazione con Dio, la relazione positiva con se stessi e con il prossimo e la relazione con il mondo.

L’avere affidato alla scuola statale il compito omnicomprensivo di educare su tutto questo ventaglio di relazioni (comprese l’affettività) è un atto di indebito trasferimento di responsabilità e, in più, visto che nella scuola statale operano ideologie volte a decostruire la famiglia, esso sta facendo più male che bene. 


Altro aspetto da cogliere è tratto dal secondo capitolo “Chi educa? Influenze culturali e sue conseguenze”. Qui viene denunciata l’influenza del cattolicesimo romano che sembra essere presente del DNA della cultura italiana attraverso secoli di storia e rafforzata da sue più recenti evoluzioni intrise di umanesimo.

Il cattolicesimo romano e lo statalismo, influenzandosi reciprocamente, sembrano essere avversari, ma in realtà sono alleati. Entrambi sono lontani dalla visione biblica della famiglia. Il primo (il cattolicesimo) vuole mettere la chiesa sopra la famiglia; il secondo (lo Stato e le ideologie che in esso operano) vuole destrutturare la famiglia.

Entrambi, avocando a sé stessi il compito  che spetta di diritto alla famiglia, non solo  provocano un corto circuito tra sfere diverse di competenza ma anche una deresponsabilizzazione della famiglia, soggetto primario preposto a tale compito. 


Il fascicolo contiene anche delle proposte che consentirebbero alle famiglie evangeliche di essere organicamente presenti e propositive nei rapporti con la scuola statale. Ci sono il compito di vigilanza e di intervento che richiedono attenzione e azione.

Ad esempio, nel volume c’è una prima appendice che presenta un vademecum per le relazioni con la scuola; una seconda appendice che fa un appello per la costituzione di un’associazione di genitori evangelici; nella terza appendice sono elencate ben 16 domande per stimolare la riflessione. Il fascicolo contiene anche una ricca bibliografia a dimostrazione della ricerca che ne ha sostenuto la stesura. 


E’ bene che anche nelle chiese evangeliche si parli del ruolo della famiglia, non solo per l’educazione domestica e fisiologica alla vita famigliare, ma anche per quella forma di educazione più strutturata che si chiama “scuola”.

In Italia siamo ancora ai primissimi passi e c’è un enorme lavoro da fare. La cultura evangelica ha sempre tenuto in alta considerazione sia la famiglia sia il compito educativo. “Famiglie che educano” intreccia questi due fili e propone materiali per approfondire e per (speriamo) agire.