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La libertà educativa si salva con la libertà religiosa

“L'ora di religione si salverà solo con la libertà educativa”. Questo il titolo di un interessante articolo di Marco Lepore su La Bussola Quotidiana (29/1/2024) il quale entra nel dibattito sulla presenza dell'Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola pubblica. Il suo auspicio è di “aiutare a comprendere meglio la natura del problema, abbozzando un sintetico excursus storico” e una prospettiva di maggiore libertà…almeno dal titolo.

Due i punti di partenza dell’analisi suggerita:

  1. La scuola di Stato nasce in contrapposizione alla Chiesa (cattolica), alla quale è stata “sfilata” l’educazione.

  2. L’IRC è da sempre una concessione “tollerata” e “ghettizzata” nella scuola di Stato.

Due affermazioni piuttosto forti, ma alquanto imprecise, se non addirittura fuorvianti. Sullo stesso tema, gli evangelici italiani hanno una lettura radicalmente diversa. Di pochi giorni fa è, ad esempio, la dichiarazione congiunta dell'Alleanza Evangelica Italiana e del Comitato Insegnanti Evangelici in Italia sull'assunzione/stabilizzazione di 6400 docenti di religione cattolica, previsti dall'accordo tra il Ministero dell’Istruzione e del Merito e la Cei.

Tornando alle tesi di Lepore, dire che la scuola di Stato nasce in contrapposizione alla Chiesa, non è un riduzionismo storico? L’affermazione conduce a nuovi interrogativi. Perché la Chiesa ritiene che fosse suo compito esclusivo istituire scuole? Che posto hanno le famiglie in questo apparente conflitto Stato-Chiesa? Nella storia del pensiero protestante, questa contrapposizione non si pone in quanto il ruolo di Stato e Chiesa sono stati biblicamente descritti come separati. Questo fu ad esempio l'orientamento offerto dall’evangelismo italiano all’Assemblea Costituente. Nella dichiarazione del Sinodo Valdese del 1943, che riprende i principi espressi dalla al governo sardo già nel 1849 si legge: “la chiesa cristiana non deve pretendere alcuna condizione di privilegio” e “considera la completa libertà civile e indipendenza dallo Stato come condizioni indispensabili al pieno adempimento del suo mandato divino”.[1]

È su questi principi che gli evangelici italiani diedero il loro contributo all'alfabetizzazione dell'Italia costituendo dal Risorgimento in poi loro scuole gratuite ed accessibili a chiunque. Se una concorrenza si può avvertire oggi è nella misura in cui Stato e Chiesa Cattolica si alleano per pretendere un primato educativo, invece di promuovere il contributo specifico e responsabile di cittadini e famiglie alla formazione del nostro Paese.

La seconda tesi secondo la quale l'IRC fu una concessione “tollerata” e da sempre “ghettizzata” sembra disegnare un quadro storico contraddetto dai fatti reali. Se la scuola dell'Unità era interessata primariamente a creare un desiderio di cultura, a unificare l'Italia linguisticamente e a portare i bambini a scuola (togliendoli dal lavoro), non passò molto tempo che lo scenario cambiò sensibilmente. La religione cattolica ebbe sempre un posto nella scuola italiana che si stabilizzò con il regime fascista. Mussolini, infatti, “grato dell’appoggio che le gerarchie ecclesiastiche avevano dato alla sua presa del potere, volle sancirlo solennemente”[2] con il concordato del 1929 che prevedeva l'insegnamento obbligatorio della religione cattolica nella scuola di Stato (elementari e medie). La situazione si irrigidì ulteriormente nel 1945 con i Nuovi programmi didattici per le scuole elementari e materne, quando la religione cattolica divenne un “insegnamento diffuso” che si aggiungeva a quello “speciale” in orario proprio e di tipo catechetico. Così, lentamente, prese sempre di più il profilo di una vera e propria disciplina con gli insegnanti cattolici nel ruolo di “esperti di umanità”.

Il contributo degli evangelici (insieme agli ebrei) all'Assemblea Costituente rimase inascoltato e così gli articoli 7 e 8 furono approvati. Con una nuova improbabile alleanza tra Partito Comunista e Democrazia Cristiana quella decisione affossò definitivamente il pluralismo iscritto dentro la libertà religiosa, essenziale alla vita democratica del Paese.

La religione cattolica passa dall’essere “fondamento e coronamento” dell'istruzione italiana (in un contesto in cui gli altri culti sono “tollerati” e poi al più “ammessi”) ad essere “patrimonio storico del popolo italiano”. La revisione del Concordato nel 1984, infatti, fu presentata come un passo in avanti verso una maggiore libertà e dignità, ma si palesò come un semplice cambiamento di parole. Questa volta l’alleanza fu con il socialismo che, abbandonando i suoi stessi ideali di laicità, trasformò coloro che erano “esonerati” in coloro che “non si avvalevano”. La religione cattolica restò presente, come disciplina al pari delle altre, all’interno del monte ore scolastico creando innumerevoli casi di discriminazione.

Checché ne dica Lepore, la presenza dell'IRC come “tollerata” o “ghettizzata” nella scuola pubblica non è un'affermazione storica, né fattuale. 

C'è un un'altra idea interessante alla quale Lepore accenna fin dal titolo del suo articolo: la libertà educativa. Un principio che gli evangelici italiani appoggiano pienamente. Ma di quale libertà stiamo parlando? Lepore non lo spiega, ma afferma che in uno Stato realmente cristiano cattolico l’IRC potrebbe trovare il giusto posto. Perciò a suo modo di vedere la stabilizzazione del personale docente selezionato dalla Curia romana, anche se ancora una soluzione precaria, risulta essere un bene per la scuola italiana e per risollevare le sorti dell'educazione cattolica. Una libertà educativa, insomma, alquanto ristretta visto che riguarda solo i cattolici.

Per gli evangelici la libertà educativa è un principio indispensabile per permettere alle famiglie, ognuna secondo le proprie credenze religiose, di provvedere all'istruzione dei propri figli, costituire scuole e concorrere con l'educazione statale all’istruzione del Paese. Altro principio fratello di questo è il principio di laicità per il quale nessuna confessione religiosa può avere spazi di privilegio e per il quale Stato e Chiesa restano indipendenti nel proprio compito. La scuola statale, in questo senso, è un luogo plurale dove insegnanti, studenti e famiglie portano il proprio credo e vissuto religioso in dialogo ed interazione vera, libera ed equa, mentre le iniziative private sono l’espressione diretta di una precisa confessione.

Come si potrà avere entrambi se l'Italia rincorre ancora una vera libertà religiosa? Per trasmettere la fede, non sono né necessari, né utili spazi di privilegio nella scuola statale. Occorre uno Stato che promuove una compiuta libertà religiosa ed educativa. Forse la cultura cattolica a parole dice di essere per la libertà educativa, ma nei fatti pensa solo alla propria.

[1] Andrea Mannucci, I Protestanti e la religione a scuola, Firenze, Centro Editoriale Toscano 1994, p. XXV.
[2] Ivi, p. XVII.


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