La Riforma domani. Piste per la testimonianza evangelica
Di qua e di dà dal Tevere (fiume che bagna Roma), a nord e a sud dell’Elba (fiume che bagna Wittenberg), nel vecchio e nel nuovo mondo, tutti sono d’accordo nel dire che la riforma è una vocazione costante e continua nella vita della chiesa. Tutti, apparentemente, si sono appropriati della parola “riforma” e l’hanno inglobata nel loro immaginario riguardante il domani. Il futuro del cristianesimo sarà un futuro di riforma, di riforme. Non potrà esserci cristianesimo senza riforma. La parola è quindi di dominio comune. Cambiano però le password per accedervi. E ovviamente cambiano i significati e le prospettive a secondo della password che si usa nel fare riferimento alla riforma.
1. La conversione ecumenica della riforma
Le parole chiave per comprendere la riforma di domani sono tre. Una viene da un documento sottoscritto nel 2013 da parte cattolica e luterana che si intitola programmaticamente Dal conflitto alla comunione. Cerchiamo di spacchettarne il significato: la riforma del XVI secolo è stata vissuta in un contesto di conflitto dottrinale che è diventato ecclesiastico che è diventato politico e ha generato una cultura intrisa di conflitto. Oggi possiamo chiudere quella pagina e transitare verso un futuro di comunione. Non c’è più ragione per essere divisi politicamente, le differenze ecclesiastiche possono essere armonizzate e quelle dottrinali possono essere ricomprese dentro un quadro generoso di reciproca accettazione in cui le differenze non sono più oppositive, bensì sfumature complementari. Siamo in un’età di transito da un’era all’altra. La riforma del passato è stata contrassegnata dal conflitto; quella del futuro sarà vissuta nella comunione delle differenze che si legittimano reciprocamente. Urge quindi una conversione ecumenica della riforma.
In linea con questo movimento, al recente Sinodo valdese, il moderatore Bernardini ha dichiarato che la riforma di domani avrà due binari: l’ecumenismo e l’interculturalità. Tradotto vuol dire: non senza e né tanto meno contro Roma, ma insieme e con la chiesa cattolica così com’è. La riforma sarà un cammino comune. Ma c’è di più. Sarà un cammino che si apre anche al dialogo inter-religioso e quindi coinvolgerà non solo i cristiani, ma potenzialmente tutte le persone. L’ecumenismo non è mai confinato ai soli cristiani, ma mira a avvicinare ed avvicinarsi a tutta l’umanità .
Una figura geometrica che esprime questa riconfigurazione della riforma è il “poliedro” e qui il copyright è di papa Francesco. Il poliedro è una figura geometrica irregolare che comunque tiene insieme lati e angoli diversi. Non ha forse l’armonia della sfera e nemmeno la simmetria del cubo, ma permette comunque di tenere uniti elementi diversi dentro una figura unica, comunque tenuta insieme da qualcosa e per qualcosa.
Riforma è allora un altro modo di dire cammino di crescente comunione ecumenica ed inter-culturale ed inter-religiosa all’interno di una unità a geometrie variabili, in fondo gestita in modo poliedrico e versatile dall’unica istituzione in grado di tenere insieme il tutto: la chiesa cattolica di Roma che sarà più cattolica ma non meno romana.
2. La liquefazione della riforma nel cristianesimo globale
Riforma è un termine che circola anche negli ambienti dell’evangelismo giovane del Sud del mondo. Si tratta del teatro dove il cristianesimo è in più forte crescita nelle versioni evangelicali e pentecostali-carismatiche. Qui riforma prende una declinazione linguistica legata a termini quali rinnovamento, trasformazione, cambiamento. Si tratta di un evangelismo dinamico, mobile, movimentista, attivista, per certi versi liquido. E’ la parola avivamento, risveglio, risvegliato, risvegliare che connota l’istanza di riforma. Questa pulsione al cambiamento, tuttavia, spesso si muove su un terreno dove l’eredità della riforma de XVI secolo, soprattutto nella sua portata dottrinale, è rimossa, in uno stato di oblio. La giustificazione per fede soltanto, il sola Scrittura, e altri presidi teologici della Riforma sono lontani, rarefatti, allo stato vaporoso tanto sono poco consistenti. Si cerca il cambiamento ma su basi diverse da quelle della Riforma. Si vuole la trasformazione ma non necessariamente agganciata ai presidi dottrinali della riforma. La Riforma europea, poi, è vista come episodio di storia regionale europea e non universale, anzi spesso gravata di addentellati coloniali da cui prendere le distanze.
Nel vecchio mondo le cose nel campo evangelicale non vanno meglio. Un recente studio della Pew Forum mostra che la maggior parte degli evangelici nordamericani non si riconoscono più nei capisaldi della Riforma protestante. Le controversie di 500 anni fa (la salvezza per grazia soltanto, l’autorità della Scrittura, ecc.) appaiono simulacri sbiaditi di una passato superato. Il revivalismo occidentale ha eroso le radici protestanti del movimento evangelico. L’insistenza sull’esperienza ha indebolito l’architrave della dottrina. La concentrazione sull’individuo ha sottratto interesse verso la chiesa. L’ossessione sull’appropriazione soggettiva della salvezza ha spodestato l’apprezzamento dei fatti oggettivi della salvezza, e così via.
Il futuro della riforma sarà declinato in termini sì di apertura al cambiamento, ma un rinnovamento invertebrato, fluttuante, liquido, senza spina dorsale protestante nel senso classico del termine. Una riforma che cammina su un percorso distinto e distante dal lascito spirituale della Riforma ed è a rischio di essere invischiato prima o poi nelle maglie del poliedro ecumenico che Roma sta costruendo.
3. La riforma assimilata e rilanciata
La riforma ecumenica e la riforma liquefatta sono due traiettorie future già ben delineate. Dall’esterno e dall’interno del mondo evangelico, esse rappresentano una presa a tenaglia per sgonfiare le istanze della riforma e per metabolizzarle nel progetto ecumenico o in quello di un cristianesimo risvegliato ma poco profondo e a rischio di assorbimento nella visione ecumenica. Esiste una una terza via? Certo che sì e bisogna decisamente esplorarla ed incamminarsi in essa.
Ci sono tre movimenti che devono accadere affinché non ci si rassegni alla riconversione ecumenica della riforma, né al suo oblio nel cristianesimo giovane e globale.
La prima esigenza costante è quella dell’alfabetizzazione continua rispetto al messaggio della Riforma. “Il popolo perisce per mancanza di conoscenza” e anche la Riforma deve essere insegnata, celebrata, scoperta costantemente. Un lavoro quindi di assimilazione costante, di interiorizzazione permanente, di penetrazione diuturna delle istanze della Riforma. Il riferimento alla Riforma deve puntellare la costruzione dell’identità evangelica.
Come? Attraverso la catechesi nella famiglia e nella chiesa, il nutrimento della memoria, la costruzione dell’immaginario, la formazione permanente, l’uso di strumenti idonei, l’esposizione alle fonti. Ci si deve alfabetizzare ad un pensiero cristiano biblico ecclesiale e storico. Biblico, ecclesiale e storico.
Procedendo nell’alfabetizzazione, è fondamentale individuare il il fuoco della Riforma. Semplificarla non per banalizzarla, ma per renderla trasmissibile e traducibile. La Riforma è stato un movimento storico complesso ed è una materia intricata. Eppure può essere individuato il suo messaggio portante.
Ci possono essere molti modi di descrivere il fuoco della Riforma, ma nel fare ciò non si può omettere il fatto che la Riforma abbia messo al centro il tema del primato di Dio nella sua parola. La sua autorità manifestata in Gesù Cristo e testimoniata dallo Spirito Santo nella sua Parola scritta, la Sacra Scrittura. L’autorità di Dio sulla chiesa invasiva. L’autorità di Dio sul pensiero arrogante. L’autorità di Dio nel donare la salvezza extra nos. L’autorità di Dio sulle vocazioni, qualunque esse siano. L’autorità di Dio sulla vita. La Riforma ha “rifondato” la chiesa (K. Barth) non perché le ha dato un fondamento nuovo e diverso, ma perché l’ha rimessa sul fondamento giusto: quello della Parola di Dio. L’autorità di Dio libera dalle nostre tirannie. L’autorità di Dio è il principio regolatore di ogni autorità. La Riforma ha creato responsabilità diffusa perché ha ricentrato la vita sull’autorità di Dio. Dove non c’è questo ricentramento, c’è la babele di autorità in conflitto, oppressive e invadenti.
In terzo e ultimo luogo, per assimilare e rilanciare la Riforma è necessario che, oltre alla continua alfabetizzazione e alla valorizzazione del fuoco della Riforma, vi siano uno, cento, mille cantieri di riforma aperti ed attivi. Cantieri di vita personale in via di riforma, cantieri di vita famigliare che si dispongono docilmente ad essere riformati da Dio, cantieri ecclesiali dove si scopra la bellezza del culto ordinato e partecipato, della predicazione dell’evangelo credibile e difendibile, del sacerdozio universale dei credenti, dei ministeri non improvvisati e domati da Dio, cantieri associativi che portano i semi della riforma nella società.
La riforma domani ha bisogno di cristiani vivi ed in cammino, di chiese confessanti e di corpi intermedi coraggiosi. Insomma, la riforma ha un futuro solo se noi evangelici non saremo belle statuine di plastica che colorano il folclore religioso del mondo globale, ma discepoli e discepole che, essendo stati salvati grazia soltanto mediante la fede soltanto da Cristo soltanto così come è annunciato dalla Scrittura soltanto, vivono tutta la vita per la gloria di Dio soltanto e si dispongono a servirlo con umiltà e spirito di sacrificio, ma animati da sane ambizioni e gioendo in Dio per sempre.
(testo della conferenza tenuta alle Giornate teologiche 2017 dell’IFED sul tema “Riforma ieri, oggi e domani”)