Lutero e il suo rapporto contraddittorio con i musulmani

 
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Martin Lutero ha parlato o scritto in modo diretto sull’islām, sulle credenze e pratiche musulmane, solo in sei occasioni[1]. La maggior parte delle sue conoscenze, riguardo a tutto quello che era islamico, derivava dalla convivenza europea nel XVI secolo con l’espansionismo ottomano, che proprio in quegli anni si era reso particolarmente minaccioso in Europa centro-orientale, e dal clima che questo creava. L’appellativo che Lutero dava ai Turchi non era originale, in quanto il “terribile Turco” era un’espressione spregiativa di uso comune, usata ad esempio per creare paura tra i bambini con lo scopo di farli ubbidire[2], ma anche, da parte dei principi tedeschi, come strumento di pressione politica nelle loro dispute con l’imperatore cattolico del Sacro Romano Impero[3].

L’interesse di Martin Lutero per l’islām derivava dal fatto che i Turchi e la loro religione si inserivano in una importante prospettiva teologica, che includeva il tumulto religioso-politico dell’Europa del suo tempo, e di conseguenza il suo timore per le mire espansionistiche dell’Impero Ottomano. Non si trattava dunque di un interesse puramente accademico, bensì indotto dalle tensioni del contesto politico internazionale. Egli infatti vedeva i Turchi come una punizione da Dio per i peccati commessi da parte dei cristiani, e li considerava come servi del diavolo nel mondo; al contrario del Papa che era, invece, ai suoi occhi, punizione da parte di Dio e servo del diavolo nella Chiesa[4]. I Turchi erano sempre associati alla blasfemia del papato romano medievale che era una minaccia spirituale alla cristianità.

Al di là di questi scritti espressamente dedicati all’argomento, i Turchi sono stati nominati di passaggio da Lutero in un gran numero di occasioni: già nella sua spiegazione delle novantacinque tesi pubblicati nel 1518[5] e fino al suo ultimo sermone predicato solo tre giorni prima della sua morte, avvenuta nel 1546. Già nel 1528, Lutero venne a contatto con alcuni scritti precedenti sui Turchi, tra cui, in particolare il Trattato sui Turchi di Giorgio di Ungheria, scritto in latino verso la fine del XV secolo, che egli considerò più attendibile di altre fonti in materia, al punto da redigere egli stesso l’introduzione a una nuova edizione. Sebbene l’autore fosse stato fatto schiavo degli Ottomani nella sua adolescenza e fosse in seguito riuscito a fuggire e ad affrancarsi, convertendosi dall’Islām al cristianesimo, il trattato parla dei rituali religiosi, della cultura e delle tradizioni dei Turchi descrivendoli in modo – almeno parzialmente – positivo, ed è proprio questa descrizione favorevole che colpisce Martin Lutero[6]. In particolare, basandosi sulla testimonianza di Giorgio di Ungheria, Lutero osservava che la religiosità dei musulmani, per la magnificenza delle sue manifestazioni esteriori, era suscettibile di impressionare favorevolmente i cristiani che fossero caduti prigionieri dei Turchi, esponendoli così alla tentazione di convertirsi all’Islām; una tentazione particolarmente insidiosa non tanto per la brutalità del comportamento dei Turchi, bensì, proprio per l’ambigua attrattiva della loro religiosità, che almeno a prima vista appariva più  viva di quella dei cristiani dell’epoca[7].  

Quello che per certi versi suona come un elogio del fervore religioso e della disciplina dei musulmani va tuttavia compreso nell’ambito della polemica contro l’ipocrisia della pratica religiosa cattolica e l’arido formalismo dei suoi rituali[8]. Paradossalmente, la stessa superiorità dei musulmani in termini di pratica religiosa è evocata da Lutero come argomento in favore del principio della giustificazione per sola fede: se fossero le opere a garantire la salvezza, infatti – argomenta provocatoriamente Lutero – i musulmani avrebbero più chances dei cristiani di salvarsi. Tuttavia l’orientamento di Lutero nei confronti dell’Islām cambiò nel tempo in funzione delle fonti che gli si rendeva via via disponibili e del contesto storico.

A questo proposito, lo storico David Grafton individua tre fasi distinte. 

Prima del 1528, le conoscenze che Martin Lutero aveva sull’islām erano state plasmate dal materiale pubblico che circolava in quel periodo, che includeva comuni immagini veicolate dai testi scritti, discorsi orali e supporti visivi di varia natura. C’era una grande varietà di immagini dei Turchi in circolazione tra gli artisti europei, che li esibivano in diverse scenografie per dimostrare pratiche culturali o abbigliamento orientale rappresentandoli nelle minacciose fattezze di personaggi apocalittici, e questo soprattutto attraverso la xilografia (incisione su legno). Questo materiale contribuì ad ispirare la visione teologica di Lutero secondo la quale i Turchi costituivano al contempo uno strumento della punizione divina del mondo e una sfida per la Chiesa.

La seconda fase iniziò verso le fine del 1528, quando Lutero ebbe accesso a tre diversi lavori sull’islām, tra cui il trattato già menzionato di Giorgio di Ungheria, e le due confutazioni sul Corano ad opera di Riccoldo da Monte di Croce (XIV secolo) e Nicola Cusano (XV secolo). In questo periodo Lutero si focalizzò sul fornire al popolo tedesco un orientamento sulla religione e le tradizioni dei Turchi, considerati una minaccia. La risposta iniziale, da parte di Lutero, nei confronti dell’Islām, si trovava in questa fase in Vom Kriege wider die Türken (Sulla guerra contro i Turchi) del 1529. Lo scopo centrale di questo trattato era quello di fornire una giustificazione della guerra contro i Turchi, affinché venisse concepita come una guerra giusta intrapresa da funzionari e ufficiali secolari, e non come una crociata o guerra santa. Il trattato, inoltre, include anche una breve digressione sulla ideologia musulmana turca, insieme ai suoi excursus polemici e specificamente per educare i suoi lettori sulla natura maligna dell’islām[9]. Analizzando quello che lui comprendeva essere un’ordinanza religiosa, politica e domestica imposta da esseri umani nel Corano, sperava di convincere i suoi lettori dell’impossibilità di rimanere indifferenti verso lo sconfinamento dell’Impero Ottomano in Europa. Il trattato aveva una funzione apologetica per la conservazione di quello che Lutero stesso considerava l’adatto ordinamento di una civilizzazione costruita su principi cristiani, dimostrando che l’islām era più che un problema militare per l’Europa Cristiana. Al contrario, egli ribatté che l’islām minacciava l’esistenza della cristianità, imponendo e eternando menzogne, omicidi e ingiuste leggi matrimoniali nel mondo.

Tuttavia la preoccupazione principale del trattato era di prendere le distanze dall’ideologia cattolica delle crociate, riformulando la giustificazione della guerra santa contri i Turchi in termini laici: tale guerra, per essere giusta e meritoria (ma comunque non “santa”), doveva rimanere puramente difensiva e guidata dalle autorità secolari, non da quelle religiose, e non doveva prefiggere la conversione degli infedeli tramite la loro sottomissione politico-militare. Questi distinguo gli attirarono non poche critiche, in quanto proprio in quegli anni il cattolico Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, aveva bisogno del sostegno dei principi tedeschi protestanti per far fronte alla minaccia ottomana, in nome della condivisione dell’ideologia crociata della guerra santa. Nelle opere di questo periodo, prevale la preoccupazione pastorale di confrontare i suoi correligionari invitandoli a testimoniare la loro fede cristiana anche in caso di riduzione in schiavitù da parte dei Turchi, le cui conquiste sono costantemente interpretate in termini letteralmente apocalittici.

Infine, nel 1542 Lutero ricevette una traduzione del Corano, da lui desiderata da molto tempo, per poter leggere personalmente i decreti di Muḥammad e scrivere un commento personale sul testo sacro dei musulmani. Lui credeva di avere la responsabilità non solo di respingere e negare papisti ed Ebrei, ma anche le “dannose credenze di Muḥammad”; ed è in questo momento che il suo focus si sposta dal “terribile Turco” e la sua religione, a Muḥammad, il Profeta stesso. Lutero commentò la sua lettura della traduzione in latino del Corano, e reagì con un’apologia cristiana, attaccando Muḥammad in modo diretto[10].

Va ricordato, in proposito, che la traduzione latina allora disponibile era quella realizzata nel XII da Roberto di Ketton e commissionata da Pietro il Venerabile, abate di Cluny, nell’ambiente in cui veniva elaborata l’ideologia delle Crociate e della Reconquista: una traduzione assai poco fedele al testo originale e viziata da obiettivi fortemente polemici, che per la sua stessa parzialità non consentì dunque a Lutero di farsi un’idea veramente obiettiva dell’islām, del suo testo e del suo fondatore. In queste diverse fasi della visione di Martin Lutero sui Turchi è da tenere conto il contesto storico e teologico in cui elabora le sue conoscenze sull’islām, ovvero, un clima di tensione e paura verso la continua minaccia dell’Impero Ottomano. Lutero credette ed era convinto che il diavolo fosse sempre all’opera nel mondo e ne dedusse che il Corano era frutto di Muḥammad posseduto da Satana, e i Turchi, essendo seguaci del (falso) Profeta e il suo “libro sacrilego”, erano servi dell’esercito del diavolo. Ma nonostante queste dure accuse verso i Turchi come distruttori della verità religiosa, c’è una profonda spiegazione razionale dietro alle sue critiche nei confronti dell’islām. Dividendo la sua analisi in categorie di “dimensione” spirituale, temporale e nuziale, Lutero si riferiva alla sua dottrina nota come Dreiständelehre (Tre Dimensioni).

Questa dottrina era la lente attraverso la quale guardava la natura sociale dell’umanità, predefinita da Dio e creata insieme all’umanità, per rimanere durante tutti i regni e in tutto il mondo[11]. Senza queste tre dimensioni, Lutero pensava che il mondo sarebbe regredito in caos. Considerava la dimensione spirituale come sinonimo della chiesa, e quindi della figura di Gesù Cristo. La dimensione nuziale rappresentava l’unione inseparabile tra uomo e donna, e la procreazione da essa derivante che dava forma alle relazioni umane. Come la prima, anche questa seconda dimensione viene predefinita da Dio stesso, quindi gli esseri umani non hanno nessun diritto di fare diventare il matrimonio una cosa libera, cambiandolo nel modo in cui vogliono. Perciò, Lutero condannava anche la pratica della poligamia. Infine, la dimensione temporale o politica era fondata per dare forma alle relazioni tra uomini e donne e ai loro figli, governare la relazione tra esseri umani anche fuori dalla famiglia. Questa dimensione, però, divenne necessaria solo dopo l’introduzione del peccato nel mondo, con come conseguenza il bisogno di un governo, un’autorità a capo della varie comunità. Anche questa dimensione è stata stabilita da Dio, è Lui che ha creato e crea tutti i governi e le autorità.

Quindi, per Lutero, il governo non doveva essere per forza condotto da cristiani per essere una istituzione divina. Al contrario, fino a quando le autorità avrebbero mantenuto la pace, promosso la prosperità e punito i malvagi, allora il governo sarebbe rimasto comunque una cosa divina. Inoltre, Lutero disapprovava qualsiasi alleanza politica intesa a rafforzare la Riforma. Era convinto che la verità dell’Evangelo sarebbe prevalsa da sola: era stata stabilita senza armi e si sarebbe mantenuta senza le armi[12]. Egli si proponeva di confidare solo in Dio e di persuadere i suoi seguaci a fare altrettanto. In qualunque modo, c’era un limite alla giurisdizione dell’autorità che riguarda l’infrangere la coscienza umana. La coscienza di una persona, in particolare ciò che riguarda la fede, è intoccabile, in quanto la fede è un atto libero, a cui nessuno può essere forzato. Infatti, Lutero scrisse che Dio non può permettere e non avrebbe permesso a nessuno, eccetto che Sé stesso, di governare sull’anima. Se la vera religione, vita politica, matrimonio e vita familiare sono la base della creazione di Dio e la continuazione dell’umanità, ne consegue che l’opposto, cioè la falsa religione, politica e matrimonio, sono opere del diavolo e le fondamenta dell’inferno.

[1] Tre di questi commenti si trovano in: M. Lutero, Vom Kriege wider die Türken, 1529.

[2] Nello stesso modo in cui in Italia si usa la frase: “Se fai il cattivo arriva l’uomo nero/il lupo cattivo”.

[3] D. Grafton, “Martin Luther’s sources on the Turk and Islam in the midst of the fear of Ottoman imperialism”, The Muslim World, 107 (4), 2017, pp.665-666.

[4] Ivi, p. 666.

[5] H. Lehman, “Explanation of the Ninety-Five Theses”, Luther’s Works, American Edition, 1957.

[6] D. Grafton, “Martin Luther’s sources on the Turk and Islam in the midst of the fear of Ottoman imperialism”, cit., pp. 670-675.

[7] Ivi, pp.675-676.

[8] T. Castor, “Martin Luther on Islam and “the Turks” (https://www.zwemercenter.com/martin-luther-on-islamand-the-turks/).

[9] A.S. Francisco, Martin Luther and Islam. A Study in Sixteenth-Century Polemics and Apologetics, Leiden-Boston, Brill 2007, p. 20.

[10] D. Grafton, “Martin Luther’s sources on the Turk and Islam in the midst of the fear of Ottoman imperialism”,  cit., p. 667.

[11] A.S. Francisco, Martin Luther and Islam, cit., p. 21.

[12] J. Atkinson, Lutero, la parola scatenata. L’uomo e il pensiero, Torino, Claudiana  1983.