Il manifesto della contro-cultura cristiana. Il Sermone sul monte secondo John Stott
“Beati quelli che si adoperano per la pace”, “porgi l’altra guancia”, “ama il tuo nemico”, “non siate in ansia per il domani” “guarda prima la trave nel tuo occhio e poi potrai giudicare la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello”, sono tra le citazioni più usate e abusate tratte dal cosiddetto Sermone sul Monte, cioè quella porzione del Vangelo di Matteo che va dai capitoli 5 a 7.
Probabilmente sono pochissime le persone al mondo che non ne hanno mai sentita pronunciare almeno una. Alcuni passaggi del Sermone sul Monte sono diventati, infatti, massime utilizzate anche nel linguaggio comune.
Ma davvero queste parole valgono sempre e per tutti? Una risposta immediata potrebbe portare a dire che, sì, sempre le parole della Bibbia valgono per tutti e in ogni circostanza. Eppure, John Stott (1921-2011), nel suo libro Il messaggio del Sermone sul monte. Una controcultura cristiana, Chieti, GBU 2016 fa alcune sottolineature.
Nel corso del tempo, infatti, le parole di Gesù, sono diventate fonte di ispirazione per i più disparati pensatori che hanno utilizzato il Sermone come matrice di ideologie lontane dal cuore del messaggio del Vangelo.
Un clamoroso esempio è il celebre autore russo Tolstoj che nel suo processo di avvicinamento alla spiritualità cristiana, finì per scegliere il sermone come suo cardine morale e di condotta etica, sganciandolo però dal resto del testo biblico e, anzi, accompagnandolo allo studio di testi di spiritualità orientale per giustificare le sue prese di posizione pacifiste.
Allo stesso modo Gandhi, venendo in contatto con il Sermone sul Monte nei suoi anni di studio a Londra, finì per apprezzare il testo e si ispirò anche ad esso per portare avanti i suoi principi sulla non-violenza. Nonostante ciò, Gandhi si riteneva impossibilitato ad apprezzare il cristianesimo a causa del suo tenere insieme il messaggio di Gesù e l’Antico Testamento.
Questi due macro-esempi, sono solo una piccola parte delle tante interpretazioni caricaturali del discorso di Gesù. A causa della sua ricchezza, bellezza e profondità, infatti il Sermone rischia di diventare una chiave per l’universalismo o per una comprensione parziale del cristianesimo. Non a caso è stato anche utilizzato per l’idea della fratellanza universale e per la teologia del Vangelo sociale.
Per Stott, è fondamentale, per chiunque si approcci a questo testo, chiedersi prima di tutto chi sia il predicatore. Se Gesù è solo un maestro di vita, allora gli insegnamenti del sermone possono essere presi come massime per la condotta morale; ma è quello di cui i Vangeli parlano?
No, i Vangeli presentano Gesù come maestro, Signore, Salvatore, Giudice, Figlio di Dio e Dio stesso fattosi uomo. Non come una sola di queste cose, ma come tutte queste cose insieme. Quando si guarda al predicatore, allora, il messaggio del sermone non può che prendere un’altra luce. Se si disconosce l’identità del predicatore, allora anche le sue parole perdono forza e non c’è ragione per ritenerle insegnamenti rilevanti.
Stott definisce il Sermone come il “Manifesto della contro-cultura cristiana”, cioè un manifesto programmatico del Regno di Dio annunciato da Cristo e rivolto ai suoi discepoli. Non si tratta di costruire società in cui regnano alcune delle regole enunciate nel sermone, né tantomeno si tratta di ritirarsi dal mondo per vivere una religiosità moralistica basata sui precetti del sermone,
Il sermone invita a realizzare che, per chi riconosce Gesù come Signore e Salvatore, è annunciata l’entrata in un regno nuovo: un regno che sta in questo mondo ma non è di questo mondo, dove tutte le regole culturali vengono sovvertite. Un regno dove c’è la possibilità di vivere, con la guida dello Spirito Santo una cultura nuova e redenta. Una cultura che la chiesa dovrebbe rispecchiare affinché possa diventare attraente per chi la guarda dall’esterno.
Tutto il mondo apprezza il Sermone poiché a tutti piacerebbe vivere in una cultura dove non viene fatto a te quello che non piace essere fatto agli altri, dove i mansueti e gli umili sono apprezzati, dove regna la pace e l’accoglienza. Ma pochi sono coloro disposti a prendere la loro croce, abbandonare tutto e seguire il predicatore del Sermone.
I tre capitoli di Matteo però non parlano di tiepido apprezzamento dei precetti predicati, ma della radicalità del cambio di vita per chi riceve un cuore nuovo.
Un cristianesimo generico, culturale, nominale, buonista e lontanamente ispirato ai principi del Sermone non fa di nessun estimatore del sermone un discepolo di Gesù. Infatti, nello stesso discorso Gesù ha anche detto: “non chiunque mi dice: “Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Il Sermone può essere un manifesto di contro-cultura cristiana solo per i discepoli del Signore.