“Mio figlio è un casino” (II). Senza Cristo nessun porto è sicuro a sufficienza

 
 

Mio figlio è un casino, Milano, Urra Feltrinelli 2022 è un libro di Stefano Rossi, psicopedagogista di successo. Tesi del libro è la seguente: il fattore scatenante della lacerazione tra scuola e famiglia è di tipo sociale. Il mondo liquido descritto da Zygmunt Bauman, privo di valori di riferimento, ha svuotato di senso anche il compito educativo. Ciò ha attivato una componente psicologica di sopravvivenza sia nei singoli individui sia nelle comunità, ponendo gli uni contro gli altri, generando uno stato di angoscia continuo al quale genitori e insegnanti hanno reagito cercando una risposta filosofica a cui aggrapparsi. “Idoli”, li chiama l’autore, a cui affidarsi per sopravvivere ed educare, che hanno di fatto alimentato la tempesta emotiva dei ragazzi. 

Qui interviene il metodo Rossi per riconnettere famiglia e scuola su un nuovo obiettivo: nella “tempesta” della vita, genitori e insegnanti devono comprendere la “mente” e “l’anima” di figli e studenti e diventare un “porto sicuro” per il loro “veliero”.


Dopo esserci soffermati sulla componente psicologica, altrettanto interessante è la rilettura filosofica che l’autore fa dell’episodio biblico del Vitello d’oro. Nell’affrontare figli e studenti nella tempesta, non riuscendo a dare un senso all’esperienza vissuta, genitori ed insegnanti hanno creato degli idoli per avere l’illusione di governarla: l’idolo della felicità, quello della legge, della performance, del positivo o del successo. In ognuno di questi casi, Rossi è capace di mettere in luce molti modi di vivere il ruolo dell’educatore che caratterizzano la nostra epoca e cultura con l’obiettivo di “mettere in dubbio la falsa luce dorata degli idoli educativi ai quali ci siamo aggrappati” (p.19). 


L’immagine dell’idolo è sempre foriera di benefiche riflessioni per il cristiano evangelico (si veda “Idoli tra noi”, Studi di teologia N. 44, 2010) e ogni genitore leggendo le pagine relative farebbe bene a mettersi in seria discussione esaminandosi alla luce della Parola di Dio.


La proposta dell’autore a questo bisogno di risposte filosofiche nella crisi educativa è quella di diventare un “porto sicuro” per i propri figli o studenti: amore, incoraggiamento, riparo, accettazione, testimonianza, sorriso sono le parole chiave di questa nuova relazione educativa, che si costruisce tra adulto e bambino e che lo prepara a salpare nel mare della vita con il coraggio e la sicurezza necessari. 


“Diventato adulto, il veliero, cresciuto sotto lo sguardo di un porto sicuro empatico, saprà essere a sua volta un porto sicuro sia per le proprie emozioni sia per le persone importanti della sua vita” (p. 47). L’educatore, che sia genitore o insegnante, ha la responsabilità di essere libero dai propri fantasmi emotivi per prendersi cura di bambini e ragazzi. “Non dobbiamo dimenticare”, afferma Rossi “che oltre a essere porto, siamo anche noi un veliero…che può contenere fantasmi irrisolti”. 


Ciò non vuol dire che il genitore è esente da “cadute nel buio”; anzi piuttosto che la caduta è l’opportunità per interrogarsi e cambiare rotta. L’autore usa la metafora del faro: un porto è sicuro per una nave perché ha un faro che illumina il mare aperto. “Mentre la luce del faro cerca di essere speranza per chi si è perduto in mare, alla sua base non c’è alcuna luce…il faro della speranza deve imparare a illuminare sé stesso, gettando luce alla parte di sé avvolta nel buio più buio” (p.156).


È qui che si genera un corto circuito di autoreferenzialità nella pedagogia di Rossi: qual’ è il porto sicuro del veliero di genitori ed educatori che può permettere la loro ripartenza? Come può un faro illuminare sé stesso senza smettere di essere luce di speranza per altri?


Rossi ha riconosciuto giustamente i molti idoli che caratterizzano il nostro essere genitori o insegnanti offrendo una grande opportunità di riflettere sul senso della responsabilità educativa, ma cade lui stesso nel proporre un nuovo idolo: “l’uomo cieco guida di ciechi”. Immagine che Gesù stesso usa come riportato nel Vangelo di Matteo 15,14 per mostrare che i farisei erano maestri privi di un maestro, e nella loro cecità credevano di poter guidare altri ciechi.


Non c’è possibilità di essere dei porti sicuri nella vita dei figli o studenti se non troviamo noi per primi il nostro porto sicuro in Cristo, l’unica vera luce che illumina il cammino e che non ha bisogno di illuminare il proprio perché non ci sono cadute nel suo percorso, non ci sono fantasmi irrisolti, né emozioni “difficili”. La sua mente e il suo cuore sono perfettamente allineati sul grande obiettivo della sua vita: domare la tempesta del peccato, affinché noi possiamo navigare per fede in Lui il mare burrascoso della vita, fino alla meta. Cristo ha pienamente amato, ha compreso pienamente perché ha compartecipato con le nostre sofferenze, è un rifugio costante e un aiuto sempre pronto, è l’incoraggiamento fermo perché ha fatto tutto ciò che era necessario per la nostra salvezza.


Ma c’è dell’altro che Gesù dice poco dopo nello stesso brano di Matteo, che ci spiega perché ritenesse i maestri farisei dei ciechi. Gesù disse: “ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” (v.18-19). Il problema nostro e dei nostri figli non è il cervello atavico che è incapace di amare, ma il cuore duro che a causa del peccato contro Dio dà vita a emozioni, pensieri, parole e azioni malvage.


Noi possiamo essere “scultori” della mente dei nostri figli, generando nuove connessioni cerebrali e nuovi modelli operativi interiori che possono “migliorare il nostro modo di pensare, sentire e relazionarci nel mondo” (p. 59), ma solo Cristo può scolpire il loro cuore, anzi trasformare un cuore di pietra in uno di carne. Perciò, se vogliamo davvero superare le tempeste della vita insieme a loro e crescerli resilienti, dobbiamo ricordare che la responsabilità educativa “è uno sforzo comune con Dio” (L. Priolo, La rabbia nel cuore, A&O, Caltanissetta 2009) e che abbiamo bisogno di indicare loro costantemente con le nostre vite, l’unico faro di speranza che è l’evangelo e l’unico porto sicuro che è Cristo.