“Nessuno si prende cura della mia anima”. Chi è amico dei pastori?

 
 

Robert Murray M'Cheyne (1813-1843), giovane pastore scozzese vissuto nel XIX secolo, morto a soli 29 anni e autore del famoso Piano di lettura della Bibbia, espresse un pensiero profondamente toccante di fronte ad un tempo di solitudine: “So che, senza affetti profondi, tutta la predicazione mi sembra senza vita e morta. Il peso che porto è che nessuno si prende cura della mia anima; il Vangelo mi sembra un sogno e con esso tutte le realtà della vita” (originale: "I know that, without strong affections, all preaching is to me lifeless and dead; and the burden with me is, that no one cares for my soul, and that the Gospel seems to me a dream, and the realities of life all in all").  

Queste parole lasciano trasparire la solitudine spirituale che i pastori possono provare: una sensazione di essere lasciati soli nel proprio cammino di fede, mentre sono impegnati a prendersi cura delle anime altrui. Quanto l’esperienza di Murray M’Cheyne è diffusa tra i conduttori di chiesa? 

Molte volte, come membri di una chiesa, rischiamo di comportarci come "vampiri energetici" nei confronti di coloro che ci discepolano, ed in particolare dei nostri pastori. Siamo così concentrati nel ricevere nutrimento spirituale da loro che ci dimentichiamo dei bisogni profondi della loro persona. 

Quante volte ci preoccupiamo veramente per loro? Quante volte preghiamo affinché abbiano la forza di continuare, affinché trovino e abbiano amici che si preoccupino della loro anima e li spingano a considerare il Salvatore? Queste domande sono necessarie in quanto anche i nostri leader necessitano di amici lungo il sentiero della santificazione.

Questi pensieri sono scaturiti a margine della vacanza-studio Somnium di quest’anno. Come riportato dall’articolo “Amicizia, più ce n’è, meglio è. Impressioni da Somniun”, il tema della settimana è stato l’amicizia. Un esempio storico mi ha dato a pensare: Viret, Farel e Giovanni Calvino, uomini chiave della Riforma protestante nella Svizzera romanda del 16mo secolo, offrono l’esempio di come un’amicizia, che poggia sulle medesime basi, sia un vero e proprio "treppiede". Il treppiede infatti porta davanti agli occhi l’idea di relazione, di stabilità e solidità dal momento che si tratta di una struttura che, per mantenersi in equilibrio, necessita dei tre sostegni. Ogni “piede” sostiene l’altro e assicura la solidità dell’intera struttura. 

Questi tre giganti della Riforma non soltanto erano teologi brillanti e predicatori fedeli, ma anche amici intimi, il cui legame era così profondo che alcuni di loro preferivano morire prima dell'altro per non affrontare il dolore della loro perdita. 

Quanti amici ci sono intorno agli anziani? Come si può coltivare l’amicizia quando si è chiamati a svolgere un servizio di responsabilità nella vita della chiesa? Esistono sodalizi di “treppiedi” amicali nelle chiese? Troppo spesso ci nascondiamo dietro il fatto che, in quanto membri di chiesa, dobbiamo essere discepolati dai nostri pastori. La relazione sembra essere uni-direzionale. E, anche se questo è certamente vero, dimentichiamo di preoccuparci per loro e di pregare affinché non debbano affrontare da soli la gara che è stata posta davanti a loro. La chiesa è una comunità reticolare dove trovare relazioni non perfette, ma autentiche e aperte, possibilmente anche nel segno dell’amicizia. Le relazioni per quanto non simmetriche, devono essere sempre bi-direzionali. E’ un darsi reciprocamente, si dona amicizia agli altri, si beneficia dell’amicizia altrui.

Dobbiamo pregare per gli anziani affinchè abbiano o trovino amici che possano portare avanti il progetto ambizioso di essere, insieme a tutta la chiesa, “colonna e sostegno della verità” per la sola gloria di Dio. Noi stessi possiamo offrire e coltivare l’amicizia nelle forme adeguate e nelle possibilità date. 

Il ministero pastorale ha le sue sfide, tra cui talvolta la solitudine, come quella avvertita da Murray M’Cheyne. Forse questa condizione non può essere eliminata del tutto, ma può almeno essere alleviata e comunque può essere oggetto di attenzione. Vogliamo pastori che non vivano la solitudine, ma che, nel loro ministero, siano sostenuti dalla chiesa e da amici che incoraggiano, che vivono relazioni attive, che li rendono attenti rispetto all’inganno del peccato e che li spingano a gioire in Lui per sempre.