Aonio Paleario (1503-1570). Un riformatore dimenticato

 
 

Un giorno, camminando per il quartiere in cui abito a Roma, mi sono imbattuto in una piccola via, tra l’altro senza via d’uscita. Guardando distrattamente il nome scritto sulla placca di ceramica, ho letto “Via Aonio Paleario”. Il nome non mi suonava totalmente nuovo. Lo avevo notato sul basamento del monumento a Giordano Bruno a Campo dei Fiori, lo ricordavo come appartenente alla schiera di riformatori italiani del Cinquecento.

Il fatto mi incuriosì ed ecco che ho colto l’occasione per approfondire di più sulla sua figura grazie all’opera di Blackburn, certamente datata, ma pur sempre una fonte preziosa.[1]

Scrive Blackburn: "È certo che in Italia, all'inizio del XVI secolo, c'erano gli elementi di una grande Riforma. L'Italia aveva una schiera di nobili riformatori contemporanei a Lutero e Calvino. All'Italia fu data la Bibbia nella lingua del popolo; una letteratura evangelica cominciò a sorgere sul suo suolo. Uomini potenti hanno lavorato per riportare la Chiesa italiana all'antica fede che esisteva quando Paolo predicava, Nerone perseguitava e Ignazio soffriva. Ma quanto poco si sa di loro!" (p. 5). Vero.

"L'Italia fu ricca di riformatori fino al tardo XVI secolo [quando] la Roma papale li gettò nelle prigioni, li cacciò in esilio o li mandò via dal mondo con il martirio" (p. 9). Uno di questi riformatori fu Aonio Paleario (1500-70). Nato da un fabbro e da sua moglie originari delle Marche, Paleario nacque nella città di Veroli, situata a un'ora a sud di Roma con i moderni mezzi di trasporto. Di Veroli e Paleario Blackburn scrive: "Tra le tribù che si accampavano vicino all'antica Veroli, i fondatori di Roma incontrarono i loro primi e più veri amici. Qui, dice Plinio, si trovava il nucleo dell'Impero Romano. Qui, secoli dopo, la Roma papale vide nascere uno dei più strenui eroi che si sollevarono contro i suoi peccati e le sue tradizioni. Egli nacque ai confini di un'immensa campagna morale, piena di desolazioni della vera Chiesa, invasa da preti e monaci corrotti, infestata da venditori di indulgenze, e che custodiva, sepolti, secoli di storia crudele scritta con il sangue dei santi" (pp. 11-12).

Paleario rimase orfano in giovane età e fu allevato da amici di famiglia. Gli furono lasciati una casa e un piccolo podere. Alla fine, venderà i suoi beni a Veroli e si trasferirà a Roma per dedicarsi allo studio dei classici latini e greci. "Questi classici erano la sua ammirazione e vi si dedicò totalmente. Cicerone era il suo modello" (p. 16). A Roma scelse la professione di avvocato, ma la teologia era la sua attività preferita, anche se a Roma non vediamo ancora le sue convinzioni teologiche più mature che lo avrebbero portato al martirio. "Ricordate", osserva Blackburn, "che per lui è ancora solo il tempo del Rinascimento, non quello della Riforma" (p. 20).

"Mentre il giovane Paleario percorreva le antiche strade storiche di Roma, nel mondo stavano accadendo grandi eventi. Sulla cattedra papale sedeva Leone X, la meraviglia papale dell'epoca... Gli uomini cominciavano a pensare e a cercare la verità. Poi arrivarono i grandi leader della Riforma per indirizzarli alla Parola di Dio. Leone fu destato... [ma] la corte di Leone X non aveva la minima pretesa di praticare la religione. Il papa amava tanto i divertimenti pagani quanto i passatempi letterari. Benché assumesse il titolo di "Vicario di Cristo", uno studente onesto di un tranquillo villaggio si sarebbe stupito della sua mancanza di somiglianza con il carattere del Maestro celeste" (pp. 17-18).

Paleario era giovane durante il devastante sacco di Roma del 1527. "Non sappiamo se Paleario ne fu testimone e se combatté per difendere la città; ma l'evento fece una forte impressione sulla sua mente. Deve aver convinto migliaia di persone che il Cielo aveva nessuna protezione speciale per il Papa, né aveva inviato legioni di angeli per difenderlo" (p. 22).

Molti non si rendono conto del significato del sacco di Roma del 1527 per il futuro e l'esito della Riforma protestante. "Carlo V non era protestante; la campagna contro Roma non era una guerra protestante. Era la Roma papale che combatteva contro se stessa... Carlo V ... stava per aprire una guerra contro i riformatori. Ma prima doveva recarsi a Roma per ricevere una nuova incoronazione. Il piano prevedeva che egli ricevesse la corona imperiale, nella città santa, dalle sacre mani del papa; in cambio di questo favore, avrebbe dovuto cedere a Clemente VII il Vangelo e la riforma. Ma subito il papa si rivoltò contro l'imperatore, gridando che Carlo gli stava togliendo Ferrara e tentava di asservire l'Italia. Il papa non lo sopportò. Dalla religione passò alla politica... Carlo si sentì ferito; propose un compromesso e fu insultato. La sua rabbia fu all'altezza dell'occasione... Mise i protestanti al sicuro e il papa in pericolo. Invece di marciare con il Papa contro i riformatori tedeschi, avrebbe marciato con i riformatori contro il Papa... Fu il punto di svolta della Riforma... L'imperatore prese una penna abbastanza affilata da essere stata puntata da Lutero. Assunse tutte le sembianze di un riformatore... Era sorpreso che il vicario di Cristo osasse versare del sangue per acquisire beni terreni, una cosa 'del tutto contraria alla dottrina evangelica'" (pp. 23-24).

Così Roma fu saccheggiata e il papato devastato. "Per venticinque anni c'erano stati forti avvertimenti a Roma. Savonarola aveva gridato ad alta voce e non si era risparmiato. Ma lei [Roma] si immaginava protetta da un papato infallibile e invulnerabile" (p. 31). Alla notizia del sacco di Roma, Martin Lutero disse: "Non vorrei che Roma fosse bruciata; sarebbe un'azione mostruosa". "Tremo per le biblioteche", disse Melantone (p. 38). Anni dopo la distruzione di Roma, Paleario espresse il suo dolore al suo buon amico Jacopo Sadoleto, che sarebbe diventato cardinale della Chiesa cattolica e che avrebbe scambiato una corrispondenza con Giovanni Calvino. Paleario era addolorato per la perdita della splendida biblioteca di Sadoleto a Roma.

Da Roma le attività di Paleario lo porteranno nelle città toscane di Siena e Lucca. Trascorse anche un periodo a Padova e a Milano, tornando alla fine della sua vita a Roma, dove fu impiccato e bruciato per le sue convinzioni "eretiche". Paleario si avvicinò alla teologia della riforma leggendo Lutero, Calvino e altri riformatori. In numerose occasioni inviò lettere a questi uomini. Anche altre persone in Italia con convinzioni riformatrici ebbero una forte impressione su di lui, come Juan Valdès, Bernardino Ochino, Celio Curione e Pietro Martire Vermigli.

L'esposizione ai riformatori e l'approfondita lettura e comprensione della Bibbia portarono Paleario ad avvicinarsi alle posizioni contenute nel libriccino intitolato Il beneficio della morte di Cristo. Questo piccolo libro "soddisfaceva una grande necessità dell'epoca". Dai torchi di Venezia, Lione e Stoccarda passò rapidamente a tutta la cristianità" (p. 9). Il piccolo libro era troppo fedele a Cristo e alla sua croce per sfuggire al bando di Roma. Fu condannato dall'Inquisizione" (p. 10). Aonio Paleario è stato a lungo considerato l'autore del Beneficio di Cristo, prima che la paternità dell'opera venisse ascritta in maniera inequivocabile a fra' Benedetto Fontanini da Mantova e Marco Antonio Flaminio.

Per grazia di Dio, un paio di secoli dopo, uno storico e biografo scozzese di nome Thomas McCrie (1772-1835) "si imbatté nel testamento di un certo Thomas Bassinden, tipografo di Edimburgo, morto nel 1577. In esso c'era un riferimento a una versione inglese del libro, un tempo molto popolare. Ciò spinse il reverendo John Ayre, inglese, a cercarla. Ne trovò una copia, la ristampò e suscitò un tale interesse che ne furono trovate altre copie, tre delle quali in italiano" (p. 10).

Per fortuna abbiamo ancora il Beneficio di Cristo che può essere letto ancora oggi e ricorda le glorie del Vangelo recuperate durante la Riforma protestante, ma che furono condannate da Roma e portarono alla morte di molti riformatori e di coloro che simpatizzavano con i riformatori. Cosa c'era ne Il beneficio della morte di Cristo che fece infuriare Roma e portò anche Paleario al cappio del boia e alle fiamme del fuoco? Il "veleno" era la dottrina della giustificazione per fede" (p. 201).

Aonio pagò con la vita l’adesione all’evangelo. Fu accusato di eresia e condannato. Il suo corpo fu bruciato di fronte a Castel Sant’Angelo a Roma nel 1570. Non lontano da dove abito, non lontano da dove oggi c’è Via Aonio Paleario. E’ una piccola strada che pochi conoscono ma il cui nome è ben conosciuto al Signore per cui Aonio visse e al cui vangelo dedicò la vita.

[1] William M. Blackburn The Italian Reformer: The Life and Martyrdom of Aonio Paleario, Birmingham, Solid Ground Christian Books; ristampa dell'edizione del 1866 pubblicata dal Presbyterian Board of Publication, Philadelphia. Le traduzioni sono mie.