Oltre lo stato d’emergenza (V). Un PNRR per le chiese evangeliche?

 
 

Abbiamo tutti imparato cos’è il Piano Nazionale di Resilienza e di Rilancio (PNRR). Durante la pandemia, i Governi europei hanno immaginato una via di uscita dalla crisi economica e sociale determinata dal covid. E’ stato pertanto costituito a livello europeo un fondo (in gran parte facendo debito) da assegnare ai vari Stati membri in base a progetti specifici di rilancio in campo energetico, ambientale, infrastrutturale, industriale, ecc. L’obbiettivo del Piano era di immettere nella società un’iniezione di risorse che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero rilanciare l’economia dopo un paio di anni di recessione.  

L’efficacia del PNRR è tutta da dimostrare. In ogni caso, esso mostra un’intenzionalità: nella consapevolezza della crisi provare a dare una scossa benefica per non rimanere nelle secche della crisi.

Ora, con tutti i necessari distinguo e le ovvie differenze, le chiese evangeliche non si trovano anch’esse nella necessità di pensare ed attuare una sorta di PNRR ecclesiale? Il covid ha colpito tutti: anche le chiese hanno generalmente visto la diminuzione dei numeri, il calo della raccolta di offerte, la cessazione parziale o totale delle attività ordinarie, un generale stato di incertezza e di precarietà. Alla riapertura, si registrano persone mancanti, bilanci al ribasso, iniziative che stentano a riprendere e una certa stanchezza diffusa.

Non si dovrebbe allora fare l’esercizio di una sorta di PNRR? Cioè: non si dovrebbe dedicare un’attenzione specifica nel contesto del collegio degli anziani e dei diaconi o in specifiche assemblee di membri di chiesa a prendere atto delle aree critiche e ad individuare percorsi di fuoriuscita? Se non si fa una cosa del genere, il rischio è di rendere endemico lo stato di crisi e, invece di risollevarsi, rimanere invischiati nella palude col rischio di sprofondare. 

Immaginando l’agenda di una tale conversazione, si potrebbe suddividerla in alcune aree:

Area della liturgia: ora che il Protocollo che ha condizionato lo svolgimento dei culti non è più in vigore, come riprendere vissuti di culto all’insegna della prossimità non impaurita e non sospettosa della vicinanza? Come amministrare la Cena del Signore in modo da mantenere certe precauzioni senza cedere alla tentazione di pensarla come se si svolgesse in una camera operatoria?

Area della predicazione e della catechesi: durante la pandemia sono stati giustamente predicati sermoni di consolazione e di incoraggiamento. In questa fase oltre l’emergenza, si possono pensare serie di rilancio? Cioè_ predicazioni, studi biblici, ecc. che aiutino le chiese a pensare la stagione attuale nell’ottica dello sviluppo della testimonianza, del consolidamento della fede, della crescita personale ed ecclesiale? La “narrazione” della chiesa non deve essere deprimente né fatalista, ma realista e speranzosa nell’evangelo. 

Area della testimonianza: per due anni non sono state svolte attività all’aperto di evangelizzazione. Come organizzarle di nuovo? Su quali temi? In quali luoghi? Con quali modalità? Basta solo riprendere le abitudini precedenti o bisogna pensare a modalità, linguaggi, posture diverse?  

Per le attività nei locali, cosa si può fare per dare il senso della ripartenza, magari organizzando attività culturali (presentazioni di libri, conversazioni su temi, ecc.) che diano l’idea che la chiesa evangelica è un luogo “vivo”, pensante ed agente?

Area della comunione fraterna: le “agapi” e le occasioni di fraternità/sororità sono state interrotte durante il covid. Come si può intenzionalmente pensare a ripristinare forme di convivialità che diano il senso del ritrovato privilegio di vivere insieme la vita cristiana? Come si può pensare a queste occasioni come punti di contatto con la chiesa per amici non credenti e simpatizzanti?

Area delle finanze: i bilanci hanno visto una generale tendenza al ribasso. Ciò responsabilizza le chiese a rimodulare i loro impegni. Se si dà l’impressione di applicare una serie di “tagli” soltanto, senza comunicare una visione di ripartenza, di progettualità e di avanzamento (pur nel realismo cristiano), anche questo aspetto sarà condizionato dalla “paura” paralizzante più che dalla gioia di partecipare alla realizzazione di un piano: quello di Dio Padre di raccogliere sotto la signoria di Dio Figlio e nella potenza di Dio Spirito Santo un popolo composto di genti di ogni estrazione, lingua e provenienza affinché lo lodi e gioisca in Lui per sempre. 

Essere chiese evangeliche in contesti di minoranza non è semplice in condizioni “normali”, figuriamoci in situazioni di crisi generalizzata. Per questo, aprendosi all’opera dello Spirito Santo ed ancorate alla Parola di Dio, le chiese possono desiderare di vivere questa stagione con resilienza spirituale e in vista di un rilancio della testimonianza.   

Altri articoli della serie:
“Oltre lo stato d’emergenza (I). Sempre fedeli, mai soli” (1/4/2022)
“Oltre lo stato d’emergenza (II). Finirà l’interventismo dello Stato?” (5/4/2022)
“Oltre lo stato d’emergenza (III). De-zoomizzare la vita della chiesa?” (7/4/2022)
“Oltre lo stato d’emergenza (IV). Imparare a ri-mostrare i volti” (14/4/2022)