Reddito di cittadinanza, il problema è concettuale
Come consuetudine, anche quest’anno è stato pubblicato il Rapporto INPS del Presidente Pasquale Tridico. Si è trattato di un anno molto particolare in cui l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ha dovuto fare molto per lenire i danni provocati al mercato del lavoro e alle condizioni di lavoro di autonomi, stagionali, dipendenti, imprese. Il mondo del lavoro con la pandemia è radicalmente cambiato e molte persone si sono trovate in serie difficoltà economiche. L’INPS, infatti, ha integrato le proprie misure previdenziali (si pensi all’Iscro ovvero “Indennità straordinaria di continuità reddituale ed operativa”), rafforzato il suo intervento attraverso erogazioni straordinarie (Bonus baby sitting, indennità 600/1000 euro e così via), con un impatto anche sulla riduzione della disuguaglianza retributiva per i lavoratori dipendenti. Un intervento legittimo dello Stato (perché l’INPS è un organo dello Stato) in una condizione di pandemia volto ad attenuare gli effetti dell’emergenza sanitaria in cui il nostro Paese si è trovato.
Ma tra le tante misure volte a mitigare gli effetti del COVID c’è una misura aspramente criticata e più volte osannata in quanto stendardo politico. Il Reddito di Cittadinanza è ancora oggi, ad un anno dalla sua entrata in vigore, al centro del dibattito pubblico. E’ possibile analizzare questo argomento da una prospettiva cristiana senza scadere nel qualunquismo? Senza avere la pretesa di essere esaurienti, è possibile fare un tentativo di valutazione?
Innanzitutto, dobbiamo dire che da una prospettiva biblica il “reddito” o comunque una retribuzione è da associarsi all’attività lavorativa e non alla cittadinanza. Fin dalla creazione il lavoro è parte delle attività dell’esistenza umana e che comporta la creazione di beni e servizi. Genesi 1,28 ci ricorda che Dio comanda all’uomo e alla donna: “siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta”. Ciò significa che siamo chiamati a lavorare. O ancora Genesi 3,19 ci ricorda che Dio parlando ad Adamo dice “mangerai il pane con il sudore del tuo volto”. Nonostante l’attività lavorativa a causa del peccato sia diventata difficile e dura, questa rimane una vocazione umana cui è associata l’approvvigionamento dei mezzi di sussistenza. Facendo un lungo salto nel Nuovo Testamento, anche Gesù, nel definire la missione dei settanta discepoli, incoraggia a godere di quello che viene loro offerto, seguendo il principio che “l’operaio è degno del suo salario” (Luca 10,7).
Paolo nell’esortare i credenti di Tessalonica alla fermezza, alla preghiera e al lavoro dice questo: “Difatti sentiamo che alcuni tra di voi si comportano disordinatamente, non lavorando affatto, ma affaccendandosi in cose futili. Ordiniamo a quei tali e li esortiamo, nel Signore Gesù Cristo, a mangiare il proprio pane, lavorando tranquillamente” (2 Tessalonicesi 3,10).
Concepire il reddito o comunque una prestazione economica che non sia collegata al lavoro è un concetto sbagliato. Il reddito non può essere erogato in base ad una condizione statica e “astratta”, ma sempre associato al lavoro, ad un impegno, ad un’attività pratica o intellettuale che concorre alla creazione di valore per il bene proprio e degli altri.
Il primo vizio di fondo del Reddito di Cittadinanza è proprio concettuale. Un reddito associato ad un diritto e non a un’attività che lo giustifica, come quella lavorativa, non pare avere una giustificazione sufficiente. Il reddito è la controprestazione ad un lavoro svolto, la remunerazione per un impegno messo in campo, il riconoscimento di un impiego di energie progettuali volte alla produzione di un valore.
Il secondo elemento che vizia il Reddito di Cittadinanza è che esso è elargito dallo Stato e finanziato con risorse pubbliche a fondo perduto. Certo, il Governo può mettere in atto misure per la risoluzione dei problemi che il mercato del lavoro ha al suo interno (ad esempio il salario minimo), ma può farsi garante della vita di ogni individuo spargendo denaro a pioggia senza alcuni risultati significativi e senza attivare dinamiche lavorative che lo rendano sostenibile? Oltre ad associare il reddito alla cittadinanza e non al lavoro, lo Stato ha dispensato soldi senza attivare lavoro che renda questi soldi promotori di lavoro.
Lo stato di necessità di un individuo e la situazione di bisogno di ogni persona non è facilmente definibile (chi è povero? In che modo è povero? perché lo è?) e questo ci suggerisce che non può essere solo il reddito il problema. Comunque, ambire alla rimozione della povertà facendosi il tutore di tutti e tutto è abbastanza utopico da parte dello Stato, oltreché ipertrofico rispetto alle sue responsabilità. Piuttosto, in coerenza con il principio biblico di responsabilità differenziata, così come elaborato nella sovranità di sfere, eventuali bisogni dovrebbero essere mitigati responsabilizzando e rafforzando gli organi intermedi della società: famiglia, associazioni, chiese, comunità locali, quartiere, e così via. Lo Stato dovrebbe lavorare in simbiosi con ogni organo intermedio e non sostituirsi a loro.
Il Reddito di Cittadinanza è stato istituito come sostegno monetario che avrebbe dovuto avere l’obiettivo di assicurare una certa quantità di denaro alle fasce della popolazione più bisognosa sotto una determinata soglia di povertà: 1 milione e 800mila nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) che hanno beneficiato del Reddito di cittadinanza o della Pensione di cittadinanza nell’anno 2020.
Nel rapporto INPS si legge che si è trattato di “una manovra che, nel corso della pandemia, ha costituito un potente strumento di sostegno del reddito nei confronti delle fasce più bisognose”. Pur volendo apprezzare l’obiettivo di ridurre la condizione di bisogno e senza analizzare gli effetti (discutibili) che ha comportato, il principio guida di questa manovra statale è viziata da difetti di fondo che non giustificano la spesa di grande quantità di soldi pubblici. Soldi pubblici erogati senza creazione di lavoro da parte dello Stato: qui c’è una sorta di cortocircuito.
Il reddito deve essere legato al lavoro e non alla cittadinanza. Se il lavoro non c’è, che i soldi siano eventualmente impiegati per incentivarne di nuovo e di migliore, piuttosto che essere sparsi a pioggia da parte di uno Stato che ha della propria responsabilità un’accezione gonfiata.