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Saggi sull’educazione cristiana (IV). Cosa vuol dire per l’educazione essere “riformata”?

La pubblicazione in italiano del volume di Cornelius Van Til (1895-1987), Saggi sull’educazione cristiana, Caltanissetta, Alfa & Omega 2017 è una pietra miliare per ripensare il tema cruciale della pedagogia in ottica cristiana. In precedenti articoli abbiamo già toccato la questione delle “antitesi in educazione” in cui Van Til sostiene la radicale diversità dell’educazione cristiana rispetto a tutte le altre. In seguito abbiamo sfiorato il “dilemma dell’educazione”. In Van Til è presente l’incoraggiamento a ripensare in modo radicale l’educazione. Siamo pronti per una nuova esplorazione nel libro di Van Til sul senso dell’educazione riformata. 

La stagione delle riforme che hanno forgiato la scuola italiana odierna inizia nel 1962 e conta ben 11 riforme, che hanno via via cambiato l’antico assetto. Tuttavia, la sensazione di chi oggi la frequenta, da una parte o dall’altra del banco, è che il suo stato di salute sia tanto precario da temerne la fine. Non molto meglio stanno le scuole di molti paesi del mondo. Riformare la scuola presuppone e comporta una più ampia riforma della società e della cultura. La visione riformata dell’educazione di Van Til, infatti, si inserisce nella più ampia visione del mondo promossa dalla Riforma del XVI secolo ed elaborata nel corso del tempo fino al nostro secolo. Oggi, ancora più di ieri, questa pare la sola riforma plausibile, fondata, coerente e proiettata verso il futuro.  

Van Til pone al centro della sua filosofia educativa le dottrine basilari della fede cristiana: la creazione, il  peccato, la redenzione, la provvidenza divina che sovrintende alla storia del mondo, all’opposto rispetto alle concezioni che invece fanno dell’uomo il centro e che, pur dichiarandosi cristiane, incorporano principi non biblici. Egli dimostra che il Dio della rivelazione biblica, come Egli stesso si presenta, Uno e Trino, autosufficiente e perfetto nella sua essenza, è l’unico fondamento, il solo presupposto solido, il punto sul quale tutta la realtà si regge e può essere compresa dall’intelligenza umana che la indaga e la rielabora. Questo punto di partenza caratterizza specialmente tre “luoghi” basilari dell’istruzione: il suo scopo, i suoi criteri e la sua motivazione. Su questi tre cardini la scuola cade o sta in piedi, e sono diventati pietre d’inciampo per l’istituzione scolastica odierna.

Lo scopo. È evidente che, se l’educazione prepara alla vita ed è essa stessa vita, lo scopo di entrambe è il medesimo. Se lo scopo della vita, secondo la fede cristiana, è conoscere Dio e gioire per sempre alla sua presenza, lo scopo dell’educazione è conoscere il mondo di Dio, per partecipare alla costruzione del suo regno e godere delle benedizioni che Egli ha preparate per quelli che lo amano.  Dio infatti ha donato all’umanità un progetto nel quale impegnarsi concretamente, un progetto di cui Egli ha il pieno controllo e che si realizzerà pienamente. Nonostante il peccato e tutte le forze del male che si oppongono, questo mondo e la sua cultura saranno salvati. Molto diverso è invece il pensiero non cristiano, anche se maturato da grandi menti come ad esempio lo scienziato Edgar Morin che, non molti anni fa, attribuiva ai giovani il compito di salvare il mondo! Peccato (per lui) che un progetto di salvezza per il mondo c’è già, ed è stato realizzato da Dio stesso nella Persona del Figlio, nella sua vita e nella sua morte, nella sua resurrezione e nel suo dominio eterno. Perciò i giovani non si devono caricare di compiti impossibili, ma ciò che è impossibile all’uomo, è possibile a Colui che può tutto. 

I criteri. Cosa vogliamo insegnare ai nostri giovani? Una quantità di conoscenze giustapposte tutte ugualmente “vere” tra le quali poter liberamente scegliere? Secondo Van Til, non c’è un terreno neutro sul quale porsi, ma ognuno si colloca di qua o di là rispetto all’alternativa: con Dio, senza Dio. Oggi si parla di abilità e competenze ma, una volta acquisite, a cosa dovrebbero servire? Per quale mondo futuro? Ancora più fumoso è lo slogan “imparare a essere”… Essere in che modo, essere chi? Un vero educatore e insegnante vorrebbe dare ai giovani il meglio di ciò che è e conosce, ciò di cui ha piena certezza, per cui prova forte trasporto e nutre grande speranza. Parafrasando M. Luther King, se un insegnante non ha ancora trovato qualcosa per cui morire, non ha ancora cominciato a insegnare. L’insegnante cristiano comincia dal timore di Dio, cioè dalla piena convinzione della verità della Bibbia. Su questa base, egli e i suoi studenti possono discernere i giusti criteri per distinguere ciò che è educativo da ciò che non lo è. Resta aperta la sfida per entrambi di trovare l’applicazione pratica del principio. 

La motivazione. Tutti i pedagogisti concordano che la motivazione è una discriminante tra il successo e l’abbandono scolastico. La grande domanda che tutti i giorni si pone ogni studente è “perché?” Perché oggi devo andare a scuola, perché devo andarci per tanti anni e spendere denaro e fatica? Nel corso degli ultimi decenni si sono erose tutte le risposte. La cultura personale oggi la si può acquisire in altri modi più rapidi e meno dispendiosi, la socialità altrettanto, la possibilità di avere un lavoro migliore… non se ne parla, la ricchezza passa per altri canali. A partire da presupposti non cristiani l’esperienza opera nel vuoto. La razionalità non può essere considerata una guida costante, perché è fondata sulla casualità. La visione riformata contempla un Dio eterno, che ha un progetto che si realizzerà infallibilmente nella storia. Alla realizzazione di questo progetto Egli chiama le generazioni future affinché siano integrate, attraverso l’uso dei talenti e dei doni elargiti, nel meraviglioso disegno di un mondo d’amore. Su questo fondamento l’insegnante e l’allievo sono fin dal principio circondati dalla luce, in contatto con la verità, perché essi stessi riflettono Dio come loro Creatore e Signore. 


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