Santità, laicità, giustizia. A margine della lezione del Ministro Nordio

 
 

Non capita tutti i giorni di avere un ministro della Repubblica parlare della giustizia di Dio in un convegno. Il 31 marzo 2023, si è tenuto, presso il Palazzo di giustizia di Padova, un evento dal titolo: “«Beati gli operatori di giustizia». La vita e il martirio del giudice Rosario Livatino: una proposta e una Promessa per il presente di tutti”. Tra gli oratori di quella giornata, era presente anche l’attuale ministro della giustizia Carlo Nordio. Il suo intervento è stato definito “una lectio magistralis che ha saputo coniugare teologia e filosofia del diritto”. Rosario Livatino è stato un magistrato italiano ucciso nell’adempimento del proprio dovere: quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina gli spararono a sangue freddo, mentre lui si recava in tribunale. Accadde il 21 settembre 1990.

Nella sua relazione, il ministro si è concentrato dapprima sul fatto che cadere nello svolgimento del proprio dovere non è un’espressione sufficiente se riferita al magistrato. Infatti, egli “al momento della morte non ha soltanto accettato il suo destino di servitore dello Stato, ma ha perdonato i suoi nemici. Questo è il sato che distingue l’adempimento del dovere dalla santità”. Una scelta, secondo il ministro, che “solo alcune persone ‘superiori’ possono adottare”.

Poi ha evocato la giustizia divina. Il ministro ha posto la grande questione di dove fosse la giustizia di Dio in quel momento e, più in generale, perché vi sia ingiustizia nel mondo. Passando per il libro di Giobbe e di Qoelet, il ministro è arrivato a questa conclusione: “la risposta si trova soltanto nel Nuovo Testamento”. Riferendosi alla morte di Cristo: giusto per gli ingiusti, Nordio è arrivato ad affermare che “esiste una forma di redenzione che va al di là qualsiasi forma di peccato. E questa era la visione di Livatino”.

La lezione che possiamo imparare, dice, consiste proprio nell’amore: “[…] nel momento in cui viene a mancarti la fede, perché non hai fede nelle istituzioni umane, e comincia a vacillare come in Giobbe e in Qoelet la fede nella divinità, quando incomincia a vacillare anche la speranza perché non sembrano che ci siano più ragioni per sperare, rimane la terza virtù […] la carità”. 

Quale lettura è possibile dare a queste parole del ministro in ottica evangelica? È possibile concordare con tutto quel che è stato detto? Vi sono degli aspetti da guardare con circospezione? Senza pretesa di esaustività, alcune riflessioni potrebbero essere le seguenti.

1. Il tema della laicità. Ha fatto bene il ministro ad utilizzare parole così evidentemente religiose nonostante la sua carica pubblica? Sì. Si è trattato di un intervento all’interno di una mostra organizzata sulla vita del magistrato Livatino. La lezione è stata svolta nel contesto di un convegno pubblico. Un ministro deve certamente mantenere un atteggiamento laico nello svolgimento delle sue funzioni ministeriali. Ma, partecipare a questo evento fa parte di esse? Da un punto di vista di etica pubblica, un ministro dovrebbe sempre ricordarsi che ogni comportamento, finanche privato, trasmette un messaggio ai cittadini e, dalle parole utilizzate, il messaggio pare chiaro: la giustizia deve fondarsi sull’esempio di Cristo che ama i suoi nemici. Tuttavia, fintanto che queste parole sono utilizzate per spiegare, nella comprensione del ministro, la visione di Livatino e la sua esperienza, non sembrano arrecare particolare danno alla laicità dello Stato.

2. Il tema della santità. Da un punto di vista evangelico, la santità non è una qualità di qualche persona superiore, ma è la descrizione di tutti coloro che hanno creduto in Cristo, i quali sono chiamati “santi” (Cfr. Romani 1,7; 1 Corinzi 1,2; 1 Pietro 1,15). Se il magistrato Livatino ha potuto tenere il comportamento che ha tenuto e se ha davvero perdonato coloro che lo hanno ucciso, ebbene ciò è stato conseguenza della grazia di Dio nella sua vita e non presupposto. Non è imitando Cristo che si diventa cristiani, ma seguendolo. I suoi meriti, primo fra tutti la sua santità, ci sono imputati gratuitamente per la grazia di Dio. Noi, così come Livatino, non siamo santi perché ci comportiamo in modo umanamente ammirevole. Se siamo santi è perché tali ci ha resi il perdono di Dio in Cristo e tali ci rende la guida dello Spirito Santo sul cammino della santificazione. Nemmeno Livatino era santo davanti a Dio. Se lo è stato è perché aveva creduto in Cristo. 

3. Il tema della giustizia. In un libro recente, Carlo Nordio ha sostenuto che “la giustizia occidentale poggia su quattro pilastri: la cultura giudaico-cristiana e quella greco-romana”[1]. Dopo un excursus storico, l’autore fa la sua proposta per una riforma liberale della giustizia. Fra le molte cose, afferma che “l’attitudine rieducativa della pena, mai contraria al senso di umanità, coronerebbe l’ideale cristiano della redenzione dopo l’espiazione”[2]. Da queste parole pare emergere una comprensione del peccato non biblica. Sia l’espiazione, sia la redenzione sono operate da Cristo per i credenti. Non sono sforzi umani di migliorarsi (Cfr. Efesini 2,5; Romani 6,22-23). Così, quando il ministro afferma che, in fondo, la giustizia si esprima nell’amore una volta che la fede e la speranza sono venute meno, afferma qualcosa di biblicamente insostenibile. Se possiamo essere giusti davanti a Dio è per la sola fede in Cristo. Così, se possiamo sperare nella giustizia di Cristo è perché egli è risorto: fondamento della nostra speranza. L’amore con cui possiamo amare i nostri nemici è conseguenza dell’amore con cui Dio ci ha amati (1 Giovanni 4,7-11).

Concludendo, rimane una domanda importante da porsi: perché il cattolicesimo arriva ad affermare non v’è giustizia senza Cristo, ma non che non v’è salvezza senza Cristo? Cos’è la salvezza se non l’aver ricevuto, senza meritarla, la veste della giustizia di Cristo?

[1] Carlo Nordio, Giustizia, Macerata, Liberi Libri, 2022, p. 13.
[2] Nordio, op. cit., p. 62.