Jannik Sinner l’italiano anti-italiano. Ma chi sono gli italiani?

 
 

Ora è ufficiale: Jannik Sinner è il numero 1 al mondo nel tennis maschile. Ed è un’esplosione di elogi a questo giovane campione di soli 22 anni, il primo italiano ad aver scalato la classifica mondiale del tennis. Bravo Jannik.

Nei panegirici che si leggono emerge una riflessione sull’italianità o sull’anti-italianità di Sinner. Sono due facce speculari: da un lato i media mettono in risalto il suo essere “italiano” e tutti gli italiani sentono Sinner come “nostro”, dall’altro sottolineano tratti del suo personaggio che non sono associabili all’immagine corrente di cosa significa essere italiano. In questo senso, Sinner appare uno “strano” italiano.

L’italianità innanzi tutto: Sinner è cittadino italiano e quindi, in coppa Davis, gioca con la nazionale italiana. Nel mondo è conosciuto (e giustamente) come italiano. Parla italiano (un po’ claudicante in realtà, come l’imitazione di Crozza ben sottolinea) e nessuno mette in dubbio il suo essere italiano.

Detto questo, Sinner non è un italiano “tipico”. Anzi presenta molti tratti di anti-italianità o di diversa italianità. E’ alto-atesino, ha un cognome germanico, ha la residenza fiscale a Montecarlo (dove si pagano meno tasse che da noi), parla il tedesco (e forse l’inglese) meglio dell’italiano. Il suo temperamento sereno, tendente al freddo, compassato, rispettoso, sempre coi toni bassi lo rende molto diverso dallo stereotipo dell’italiano chiassoso, arruffone, sguaiato, passionale, genio e sregolatezza. In questo senso, Sinner è un italiano anti-italiano o per lo meno diversamente tale.

Insomma, al di là dei suoi meriti sportivi, Sinner incoraggia a riflettere su cosa caratterizzi l’italianità, ammesso e non concesso che ci sia un tratto comune agli italiani. E’ bene essere consapevoli dei tanti stereotipi associati alle identità nazionali. I portoghesi sono ladri, gli inglesi freddi, gli svizzeri precisi, gli italiani “brava gente” o mafiosi o gente che canta “O sole mio” mangiando la pizza, i turchi fumano … sono generalizzazioni che appiccicano etichette su intere popolazioni. 

Il fatto che Sinner fuoriesca dalle banalizzazioni sull’italianità è un fatto positivo. Ogni italiano lo è a modo proprio e non deve corrispondere a dei cliché imposti da chissà quali meccanismi culturali e sociali. Su chi siano gli italiani, nel Novecento hanno riflettuto i migliori intellettuali del nostro Paese, da Antonio Gramsci a Indro Montanelli, da Benedetto Croce a Umberto Eco. Si pensi poi a giornalisti come Corrado Augias, Massimo Gramellini ed Aldo Cazzullo: la loro è una continua elaborazione di una critica all’italianità.

Il fatto che Sinner sfidi gli stereotipi dell’italianità è positivo anche in chiave evangelica. Nelle narrazioni superficiali, essere italiani è associato all’essere “cattolico”. L’Italia è un Paese cattolico, si dice, e quindi gli italiani de iure e de facto sono cattolici. Ed è vero, ma solo parzialmente. Infatti, si può essere italiani ed essere evangelici, ebrei, musulmani, agnostici, atei. Si può essere italiani diversamente tali dall’immagine religiosa sedimentata, senza entrare nell’etichetta prevalente e negli stereotipi consolidati.

Quante volte gli evangelici italiani sono stati tacciati di essere “strani”, “diversi”, “stranieri”, “non proprio italiani”. Quante volte sono stati associati a gruppi religiosi esteri, ad affiliazioni internazionali, ma non italiane. Quante volte è stato loro fatto capire che erano dei corpi estranei. Eppure, sono italiani tanto quanto lo sono le altre e gli altri italiani. Semplicemente, rivendicano il loro essere italiani diversi, diversamente italiani: evangelici italiani. 

L’italianità non è sinonimo di cattolicesimo romano, ma ha un bouquet variopinto di colori, storie e appartenenze. Fuori dagli schemi semplificatori, l’italianità si può declinare in mille e più modi. Anche quella degli evangelici. Anche quella di Sinner. Bravo Jannik.