Jürgen Moltmann (1926-2024), teologo della speranza cristiana?

 
 

N.B. “Il protestantesimo è solo la mia provenienza, l’ecumenismo è il mio futuro”. In questa frase sta molto della traiettoria teologica di Jurgen Moltmann (1926-2024) da poco scomparso. Teologo poliedrico, Moltmann ha attraversato la teologia del Novecento declinando la sua opera prima sulla speranza (Teologia della speranza), poi sulla cristologia (Il Dio crocifisso), poi sul regno (Trinità e regno di Dio) e sulla chiesa (La chiesa nella forza dello Spirito), in Italia tutti pubblicati dalla Queriniana. In anni più recenti si era soffermato su tematiche ambientali e politiche. Si può dire che abbia sviluppato la teologia post-liberale, in dialogo con i movimenti di liberazione e in direzione ecumenica, e quindi lontano dalla teologia evangelicale. Per misurarsi con la figura di Moltmann, ripubblichiamo un saggio di Henri Blocher, “Dalla speranza alla rivoluzione”, Studi di teologia N. 8 (1981) pp. 136-142, che esamina criticamente l’opera di Moltmann più famosa: la teologia della speranza. Altra risorsa evangelica utile è Donald Macleod, “The Christology of Jürgen Moltmann”, Themelios 24/2 (1999) pp. 35-47.

“Dalla Speranza alla rivoluzione” di Henri Blocher

Jürgen Moltmann, organizza tutto il pensiero cristiano centrandolo sul tema della speranza (Teologia della speranza, ed. it: Brescia, 1970). Questa costituisce per lui la caratteristica e l'essenza stessa della fede cristiana. Tutti i diversi problemi devono essere riveduti nell' ottica della promessa sullo sfondo escatologico. Ciò vale per il concetto di conoscenza e per quello di verità (che viene considerata una non corrispondenza, propria al reale); per l 'ermeneutica, l'etica e per il ruolo della chiesa. La tesi di Moltmann potrebbe essere riassunta nel modo seguente: Dio deve essere riconosciuto come un Dio che viene, come essenzialmente futuro; Egli apre per l'uomo un avvenire, come anche per il mondo malgrado l'onnipresenza della sofferenza e della morte ("la croce della realtà"). L’uomo si trova così ad avere un'esistenza che lo precede nella trasformazione perpetua delle condizioni di questa esistenza, Dio fa cioè in modo che la vita dell'uomo rimanga "fluida e mutevole" (TS, 349). Per forza ed originalità il saggio di Moltmann costituisce una rarità pieno com'è d'intuizioni penetranti e stimolanti. Molti lettori soffocati dall’atmosfera maleodorante di molta parte della teologia contemporanea hanno respirato una boccata d'aria fresca al contatto con quest'opera. Tuttavia ci si accorge presto che la scioltezza della struttura nasconde delle ambiguità.

Prima di tutto Moltmann seduce per il suo linguaggio biblico. Il suo libro è costituito, in larga misura da sintesi di "teologia biblica". L'approccio è sovente positivo volendo sottolineare, contro la mentalità mitica ed ellenista, l’originalità dell'Antico e del Nuovo Testamento. La sua critica delle teologie moderne costituisce la parte più solida del suo lavoro e rallegra il lettore evangelico. Con ammirevole lucidità l'A. mette in evidenza tutto ciò che Barth e Bultmann avevano in comune e come il loro pensiero sia rimasto, quanto alla storia, greco e non biblico. Viene presa di mira soprattutto la teologia esistenzialista per mostrare come l'alternativa considerata a priori come "naturale" da Bultmann, non costituisce una evidenza, ma riposi su di una visione personale del mondo che bisogna rifiutare (TS, 64). Egli contesta "l'alternativa moderna tra verità di fatto e verità di esistenza" (TS, 193). Critica il soggettivismo esistenzialista (anche in Ebeling) allo stesso modo in cui lo abbiamo fatto noi evangelici senza essere ascoltati ... L'attaccamento di Moltmann alla resurrezione di Gesù dà l'impressione che si sia restaurato l'Evangelo. L'avvenimento della resurrezione conferma la promessa e prefigura il Regno di Dio. E' il Regno di Dio che deve formare le nostre concezioni della storia e non l'inverso. Circa il valore delle testimonianze l'A. afferma, contro Bultmann, che "la realtà del fatto affermato e proclamato deve corrispondere alle loro dichiarazioni e alla loro proclamazione" (TS, 178).

Tutto ciò è quasi troppo bello per essere vero! Ma proprio sulla risurrezione rimane un dubbio per il lettore che constata l'imprecisione del linguaggio usato. Una formula enigmatica ricorrente: "L'identità del Crocifisso e del Risorto", solleva la domanda su cosa voglia dire. Interpretata poi con l'aiuto di Hegel come una "contraddizione" di Dio con sè stesso fa prendere consistenza al sospetto (TS, 176). L'ombra di Hegel, che costituisce l’autore più citato e seguito, domina su tutta l'opera. Essa si combina con l'hegelianesimo marxista di Ernst Bloch e del suo Principio Speranza, dal quale trae ispirazione pur tentando di rispondergli. Ritorno di Hegel! Ci si ricorda la riflessione di Barth secondo cui la filosofia di Hegel costituiva per il pensiero cristiano il più grande tentativo e la più grande tentazione, e avvertiva che il momento di più grande influenza di Hegel non fosse ancora giunto. La più grave ambiguità della Teologia della speranza riguarda la concezione di Dio e della storia. Moltmann è insoddisfatto che nella Bibbia Dio sia "al di sopra" e non solo "in avanti". Ne deduce un'interferenza di paganesimo perchè "appaiono dappertutto nel Nuovo Testamento dei segni di sincretismo" (TS, 147). Egli parla molto della fedeltà di Dio, ma mai della sua sovranità. La storia non appare come lo svolgimento del disegno di Dio, ma come un flusso di tendenze e di latenze che costituisce una visione stranamente mitologica che lo conduce ad un divertente controsenso sul "bisogna" di 1 Corinzi 15,25 (TS, 166s, 199)! Moltmann evoca costantemente lo spazio del possibile, in avanti, e vede colui che spera come colui che s'avventura sul mare delle possibilità (TS, 239), mentre il N.T. lo vede come colui che cammina nelle opere preparate in anticipo dal Signore (Ef. 2,10).

Dopo il primo abbaglio la Teologia della speranza lascia un'impressione di disagio. Si ha l'impressione di una brillante riflessione che è però irresponsabile circa le sue fondamenta e il seguito che può avere. Dopo aver redatto quest’opera Moltmann si è espresso in diversi articoli e conferenze. Ha fatto molte ripetizioni, ma ha anche contribuito a chiarire certi problemi. La raccolta di saggi e conferenze Religione, rivoluzione, futuro (ed. it.: Brescia, 1971) pone maggiormente in evidenza le intenzioni di Moltmann e costituisce una delusione. La realtà della resurrezione diventa singolarmente elusiva. Nella storia non c'è posto per il positivo (RRF, 29), ma solo per la negazione del negativo, 31). Moltmann si erge contro "il feticismo dei fatti religiosi" e aggiunge che con la professione della risurrezione di Gesù la fede non pensa che Gesù sia stato assunto in cielo (RRF, 174). La "tradizione del sepolcro vuoto è secondaria" e i testimoni hanno parlato "metaforicamente della risurrezione di Gesù dai morti” (RRF, 170). Metaforicamente! C'è da temere che la realtà oggettiva affermata da Moltmann non corrisponda ad altro che una "tendenza all'opera nel fluire della storia”. Togliendo il velo sulla sua concezione ontologica, è cioè sulla sua visione dell'essere, Moltmann rifiuta la metafisica biblica ritenendola superata (RRF, 203). La creazione è per lui qualcosa di "sospeso tra l'essere e il non essere" (RRF, 34); essa non è più soltanto una creazione ex nihilo, ma "un essere nuovo che partecipa all'essere infinitamente creativo di Dio" (RRF, 35). E qui non si può dire che non si tratti di paganesimo greco!

A quale conclusione giunge? Egli lo dice chiaramente: ad una "teologia politica" secondo l'espressione che condivide con Metz o ad una "teologia della rivoluzione". Moltmann mantiene le distanze dai marxisti ai quali pone questioni molto pertinenti, ma, praticamente, spinge ad una collaborazione con loro (RRF, 100ss.). Un giuoco di parole riassume lo slittamento del pensiero di Moltmann: "Nell'anastasis è contenuta la stasis e nella resurrectio la revolutio" (RRF, 182). A suo modo di vedere la chiesa e i cristiani dovrebbero riconoscere nel movimento che trasforma le relazioni sociali in uno spirito che è lo Spirito di Cristo, diventa perciò "assolutamente necessario introdurre la rivoluzione dentro le chiese attualmente esistenti" (RRF, 90). Malgrado la sua moderazione Moltmann si serve, contro la società repressiva, di modelli marxisti; cercando in questo modo di tradurre la teologia della speranza in “teologia della rivoluzione” cade in una mediocrità ecumenica che sfiora la banalità. Qui non si possono sollevare tutti i problemi posti da Moltmann. Ci si dovrebbe chiedere, per esempio, come si possa articolare la novità radicale e totale del futuro di Dio e le sue "analogie" nelle rivoluzioni contemporanee? Moltmann designa queste analogie con un dogmatismo sorprendente.

La critica centrale potrebbe corrispondere, negativamente, a quella da lui stesso fatta al marxismo di Bloch. Moltmann dimostra che il "Principio speranza" sprofonda su sè stesso perché Bloch divinizza il Dio Speranza (TS, 353). Anzichè il "Dio Speranza", la fede cristiana confessa il Dio della speranza e - afferma sempre Moltmann - esattamente intesa, l'escatologia cristiana "fa saltare l'organica compattezza di principio del 'Principio speranza'" (TS, 355). Essa annuncia un futuro della storia che trascende la storia stessa, senza una tale trascendenza si cade nella noia mortale dell'assurdo (RRF, 156). Moltmann, purtroppo, non trae da queste belle affermazioni le necessarie conseguenze. Un Dio veramente superiore al principio speranza sarebbe un Dio al di sopra e non solo in avanti. Sarebbe Colui che dominerebbe la storia e la medesima apparirebbe, nel medesimo tempo, come la realizzazione del suo Piano piuttosto che un fluire indeterminato di "possibilità latenti". Le conseguenze sarebbero che la verità del peccato e della redenzione sarebbero posti in evidenza anzichè essere oscurati come lo sono in Moltmann. L'atteggiamento verso i fatti e verso gli ordini permanenti stabiliti da Dio si modificherebbe. In definitiva si passerebbe dal moltmannismo alla teologia evangelica.

In fondo tra Bloch e Moltmann ha tentato un compromesso tra Bloch e la Bibbia e vi è riuscito tanto quanto possono riuscire i compromessi. Il suo esempio, lungi dal sedurci, ci spinge ad affermare con ancor maggior vigore: io e la mia casa serviremo l'Eterno, contro ogni speranza-idolo, il Dio della speranza.