Una teologia della moda? La questione è meno frivola di quanto si pensi

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Eravamo abituati alla teologia associata a (quasi) tutto: teologia narrativa, teologia politica, teologia del cibo, teologia della liberazione. Questa però ci mancava: la “fashion theology”, la teologia della moda. In occasione dell’uscita del suo nuovo libro Fashion Theology (2020), il teologo della cultura americano Robert Covolo, ha rilasciato un’intervista a “Christianity Today”, in cui parla proprio del rapporto tra la teologia e la moda. Sentiamo cosa ha da dire.

Sebbene i due campi sembrino non solo lontani tra loro, ma anche antitetici, Covolo ritiene che questo pionieristico lavoro sia fondamentale per aiutare i credenti a vivere ogni aspetto della vita in modo integrato con la propria fede. Giustamente, solo se si analizza il rapporto tra le pratiche quotidiane e le credenze teologiche, il cristianesimo può diventare una visione del mondo coerente e non solo un’espressione privata o settoriale di fede. La discussione teologica dovrebbe non solo restare nelle accademie, ma uscire per mostrare come ogni aspetto della vita, anche il più concreto come quello che ruota nell’universo della moda, in realtà tocchi alcune questioni significative per la Scrittura. 

Un’indagine superficiale potrebbe ascrivere il mondo della moda a quello della frivolezza e della vanità, mentre quello della ricerca teologica apparterrebbe al registro della serietà e della solennità. In realtà, una volta che si comincia a scavare, nessuno dei due ambiti di indagine si adatta agli stereotipi. Il libro, attraverso un excursus storico, cerca di dimostrare che i cristiani contemporanei con le loro scelte plasmano comunque il mercato della moda, ma addirittura che i maggiori pensatori cristiani, da Agostino d'Ippona a Giovanni Calvino, hanno avuto molto da dire sulle questioni del “fashion”.

Per Covolo un lavoro del genere significa anche rispondere alla vocazione della teologia come ricerca culturale. La cultura, infatti, pone sempre nuove questioni sulla rilevanza della fede cristiana per ogni aspetto della vita e la teologia deve essere pronta a rispondere e a creare ponti. L’autore non nega le tensioni tra i due campi, ammette che le dissonanze sono molte e non trascurabili, che moda e teologia hanno un rapporto complesso, ma ritiene anche che la Bibbia consideri l’essere vestiti, in generale, una manna dal cielo; che è Dio stesso che si occupa del vestire le sue creature. Per questo la moda dovrebbe essere ricevuta come un buon regalo nonostante, così come ogni campo dell’esistenza, sia un’arena culturale inquinata dalla caduta. 

Il libro è anche rivolto ai teorici e agli studiosi della moda per dimostrare loro che la teologia andrebbe presa seriamente dal momento che è stata in grado di modificare il corso della moda. Anche questo campo, quindi, non può dirsi completamente secolarizzato ed è profondamente indebitato nei confronti della teologia cristiana. Autori come Agostino e Calvino infatti, non hanno sottovalutato l’aspetto del vestirsi e di come la moda sia una forma complessa di significazione nelle società avanzate. Ovviamente questo non significa che il cristianesimo sia interamente responsabile dell'ascesa della moda, ma che c'è un rapporto che vale la pena di esplorare. 

Covolo ritiene che la moda riguardi l’individuo, le sue credenze e la sua interiorità ed è una narrazione di quello che si è nel profondo. Ha a che fare con la possibilità di vedere ed essere visti come parte del creato e che, quindi, l’abito sia una parte fondamentale dell’essere umano e che bisognerebbe avvicinarci ad esso come un’occasione per essere grati nei confronti del nostro Creatore e vivere “vestiti” in modo tale da onorarlo e da corrispondere alla vocazione umana ricevuta.