Chi sono gli evangelici? Più trinitari, meno attivisti
L’identità degli evangelici è di nuovo sotto la lente d’ingrandimento. L’occasione per rimettercela è data dal libro di Thomas Kidd, Who is an Evangelical?, New Haven-London, Yale University Press 2019, professore di storia alla Università Baylor del Texas (USA). La riflessione interna al movimento evangelicale su cosa sia costitutivo nel definire gli “evangelici” è ricca e documentata. Solo per rimanere agli ultimi decenni, si vedano i lavori D. Bebbington, D. Tidball e, in francese, di S. Fath. In italiano poi, abbiamo il privilegio di avere i volumi di Dichiarazioni evangeliche I (1997) e Dichiarazioni evangeliche II (2018) che, con la mole di documenti raccolta, sono una sorta di carta d’identità dell’evangelicalismo contemporaneo.
La specificità del volume di Kidd è duplice. La prima è che si limita al quadrante geografico nord-americano. Negli USA il termine “evangelico” è da tempo oggetto di politicizzazioni ed è spesso percepito come equivalente di bianco, ricco e repubblicano in politica. Comprensibilmente, Kidd vuole correggere questa malformazione mostrando come il nucleo dell’evangelicalismo sia teologico (e non riduttivamente intrecciato alla Moral Majority o al “sogno americano”) e che, storicamente parlando, l’evangelicalismo abbia saputo tagliare trasversalmente le appartenenze etniche e le divisioni della società americana, non essendo un’etichetta di una “parte” soltanto.
La seconda specificità è proprio il tentativo di cogliere il nucleo dell’identità evangelica. Nel suo classico studio del 1989, Bebbington aveva suggerito il famoso “quadrilatero” composto da biblicismo, crucicentrismo, conversionismo e attivismo. Gli evangelici sono quelli che mettono al centro la Bibbia, il messaggio della croce, la necessità della conversione e l’impegno nella vita cristiana. Kidd propone un’altra definizione di evangelico che ha evidenti sovrapposizioni con quella di Bebbington, ma che presenta anche alcuni elementi migliorativi.
Eccola: Gli evangelici sono protestanti nati di nuovo che ricevono la Bibbia come Parola di Dio e che mettono l’enfasi su una relazione personale con Gesù Cristo mediante lo Spirito Santo (p. 4).
I vantaggi sono di collocare la corrente evangelicale nell’alveo del protestantesimo, dandogli quindi un inquadramento storico-teologico; l’enfasi sulla “nuova nascita” è riconosciuta, così come la centralità della Bibbia in quanto Parola di Dio. La dimensione personale della fede all’interno della relazione con Gesù Cristo è altresì sottolineata, con un’importante addizione. Il rapporto ristabilito con Cristo avviene grazie e mediante lo Spirito Santo. Dunque, la definizione di Kidd si arricchisce di un giusto riferimento allo Spirito Santo, quindi alla Trinità. Gli evangelici non sono solo il “popolo di Gesù” e nemmeno “quelli dello Spirito Santo”, ma sono credenti nell’Iddio uno e trino della Scrittura.
Questa definizione di Kidd ha un altro vantaggio: con il riferimento allo Spirito Santo, include la corrente pentecostale nel filone evangelicale come appartenente alla stessa famiglia spirituale, non cadendo quindi nella tentazione di pensarla come staccata dal tronco dell’evangelicalismo. Certamente, tra gli evangelici esistono distinzioni su come l’opera dello Spirito Santo è vissuta, ma tutti gli evangelici sono tali in quanto nati di nuovo e abitati dallo Spirito Santo.
Rispetto al “quadrilatero” di Bebbington, in Kidd viene meno il carattere “attivista” degli evangelici all’interno del nucleo della loro comprensione di sé. Ne guadagna il carattere trinitario della fede evangelica, ne perde la dimensione movimentista. Il dibattito sull’identità evangelica continua.