Conclave. Il film che porta alle estreme conseguenze il papato di Bergoglio
Si sa che il conclave suscita sempre interesse voyeuristico. Cosa succede dentro la Cappella Sistina tra i cardinali elettori una volta che viene decretato l’“extra omnes” (fuori tutti) è fonte di curiosità quasi morbosa. In anni recenti, Nanni Moretti aveva raccontato il suo conclave nel film Habemus Papam (2011). Ora ci riprova il regista svizzero Edward Berger con Conclave (2024), tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris.
La trama e la scenografia dei film sono tipiche del genere: muore il papa e viene dichiarata la “sede vacante”. Iniziano quindi le operazioni dell’elezione del successore che culminano con le votazioni nella Cappella Sistina. Dopo un papa aperturista in tema di dottrina e morale, si scontrano fronti diversi: c’è il candidato progressista che vuole continuare la politica del precedente; c’è quello conservatore (interpretato da Sergio Castellitto) che vuole riportare la chiesa cattolica nel solco della tradizione; c’è il candidato di “centro” che si prefigge di amministrare il sistema congelando le diatribe in corso; infine, c’è il candidato africano che incarna l’apertura del cattolicesimo al sud del mondo.
Nell’omelia d’inizio conclave, il cardinale decano dice che non è più il tempo delle “certezze” ma del dubbio e che la chiesa deve essere la casa delle diversità che vanno accolte. E’ un indizio della narrazione bergogliana che costituisce la cornice ecclesiastico-spirituale del film. Infatti, un segno gesuitico del papato di Francesco è l’esaltazione della confusione generatrice di nuove soluzioni e la stigmatizzazione del tradizionalismo come fuga all’indietro.
Il film racconta come si costruiscono e si disfano trattative serrate su un candidato e sull’altro. In breve, tutti i candidati forti, ad uno ad uno, cadono sotto il peso di scheletri tenuti nell’armadio e che emergono durante il conclave. I candidati carrieristi e clericalisti coinvolti vengono sbaragliati uno dopo l’altro. Anche questo è un tratto bergogliano del film. Più volte papa Francesco ha detto che la chiesa cattolica è piena di funzionari che non “puzzano di gregge” e che ambiscono al potere. Nel film questi profili corrotti vengono smascherati e messi da parte.
Alla fine, in un conclave dilaniato da scandali e conflitti, diventa papa l’ultimo e sconosciuto cardinale. Viene da Baghdad, la “fine del mondo” (come Bergoglio). E’ fuori dal sistema romano. E’ stato prete in città e Paesi in guerra: più che alle stanze del potere, è stato vicino a chi soffre. Non è dottrinario e nel breve discorso ai cardinali parla di inclusione, misericordia, fraternità universale. Sono chiaramente temi bergogliani. Sia geograficamente che spiritualmente, il nuovo papa assomiglia ad un candidato che rispecchia il ritratto del prete ideale di papa Francesco. Non sembra avere certezze se non quella di una chiesa che abbraccia tutto e tutti.
Ma c’è di più. Mentre il nuovo papa è nella “stanza delle lacrime” (la camera adiacente alla Cappella Sistina dove l’eletto viene vestito prima di essere presentato pubblicamente), si scopre che è anche intersessuale. Il papa che lo ha creato cardinale lo aveva incoraggiato a sottoporsi ad un intervento di rimozione dell’utero, ma lui alla fine si era rifiutato e il papa lo aveva nominato lo stesso.
L’elezione è avvenuta e quindi non ci sono molti margini di manovra. In più, il conclave si era aperto con l’invito ad abbandonare le certezze e ad aprirsi al dubbio. Ora, il nuovo papa incarna proprio l’incertezza e la fluidità e invita all’accoglienza del diverso e di ciò che è fuori dai canoni tradizionali.
Non è questo il messaggio del papato di Bergoglio? Chi non ricorda il “chi sono io per giudicare” con cui si era aperto? Chi non ha notato il “todos, todos, todos” (tutti, tutti, tutti) che è stato il ritornello dei suoi discorsi? Chi non ha in mente la benedizione delle coppie (comprese quelle omosessuali)? Chi non ha sentito il papa dire che siamo “tutti figli di Dio”?
Ecco, il film Conclave porta alle estreme conseguenze i semi piantati da papa Bergoglio durante il suo pontificato. Sembra proprio che il romanzo da cui è tratto, anche se scritto da Robert Harris, sia stato ispirato da un’idea di papa Francesco. Il film ha solo anticipato alcuni esiti forse estremi, ma congruenti rispetto alla turbo-cattolicità impressa da Bergoglio: poco romana, molto cattolica, lontana dall’evangelo.