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Evangelici e Islam (II). Il primo contestatore dell’Islam? Giovanni Damasceno

Agareni, ismaeliti e saraceni. È con questi appellativi attribuiti a coloro che oggi sono più comunemente chiamati musulmani, che Giovanni Damasceno (670-749), conosciuto nel mondo arabo come Yuḥannā ibn Sarjūn e ritenuto da molti l’ultimo padre della chiesa di lingua greca, comincia la sezione dedicata all’Islam nel suo testo principale Fonte della conoscenza. Ritornando agli appellativi, essi non fanno altro che rimandare al cosiddetto capostipite dell’Islam, Ismaele, fratello maggiore di Isacco, che Abramo ebbe da Agar, la serva cacciata via da Sara per invidia e avidità (saraceni deriva dal gr. Sarras kenoi, cioè privi di Sara). 

Nonostante il Damasceno non possa essere inscritto nel senso più stretto nella tradizione evangelicale, l’analisi del suo pensiero è una tappa necessaria lungo il percorso appena intrapreso. Se da una parte è importante tenere presente le infiltrazioni extra bibliche del suo insegnamento (iconodulia e mariologia), dall’altra bisogna ricordare che egli fu il primo teologo che si confrontò polemicamente con la religione sorta poco meno di cinquant’anni prima in Arabia Saudita per mano di Maometto (622). Da allora l’Islam aveva rapidamente seminato seguaci tramite conquiste militari, interessi politico-economici e libere adesioni. Ancora giovane, il Damasceno divenne consigliere del califfo della capitale siriana, permettendogli così di avere uno stretto contatto con il mondo islamico e conoscerne a fondo il pensiero. 

Il primo aspetto interessante è che per il Damasceno l’Islam non è ritenuto una religione a sé stante nata da un ceppo diverso del cristianesimo, bensì un’eresia dello stesso. Il padre greco osserva che Maometto cominciò a leggere per caso l’Antico e Nuovo Testamento e che dopo aver intavolato una conversazione con un monaco ariano di nome Bahira, cominciò ad elaborare il suo insegnamento. Solo successivamente egli avrebbe propagato il suo messaggio affermando essere una rivelazione ricevuta da Dio stesso e fatta scendere dal cielo sottoforma di libro (il Corano).  

È su questa rivelazione che il Damasceno si concentra e polemizza, dimostrando come la questione della fonte di una religione e della sua veridicità fosse un tema pivotale fin dai tempi antichi. Così, Il padre greco contrappone la mancanza di testimoni nel momento in cui Dio diede il libro a Maometto con la legge data sul monte Sinai a Mosè da Dio, il quale si manifestò sottoforma di fuoco e fumo, testimoniando la sua presenza in mezzo al popolo. Oltre alla contrapposizione, il Damasceno persuade i suoi interlocutori con la logica: se essi riconoscono i profeti dell’Antico Testamento e quest’ultimi testimoniano la venuta di Cristo, la sua morte e risurrezione, perché Maometto, che è ritenuto profeta, non ha fatto lo stesso?

Partito con il testo cardine dell’Islam, il teologo arabo continua la polemica approfondendo la figura di Cristo. In questo caso il discorso assume connotati apologetici, difendendo la deità di Cristo, in quanto Dio Figlio e non un “associato” di Dio. Imbastendo il discorso con l’affermazione stessa del Corano secondo il quale Gesù, riconosciuto come profeta, è Parola di Dio e lo Spirito di Dio [sic!], il Damasceno afferma che la Parola e lo Spirito sono “inseparabili da colui nel quale hanno naturalmente esistenza”. Quindi, nel caso di Cristo, “se la Parola di Dio è in Dio, allora è evidente che è Dio”. Se si nega che la Parola di Dio è Dio, allora si mutila Dio della sua stessa essenza e si nega parte di ciò che egli realmente è.  

Altri sono gli aspetti toccati dal Damasceno, come la confutazione che la Ka’ba sia la pietra dove Abramo sacrificò Isacco (per i cristiani) e Ismaele (per i musulmani), in risposta all’accusa mossa ai cristiani di idolatrare la croce di Cristo venerandola (si noti qui la posizione del Damasceno a favore delle reliquie e icone), o la polemica contro i dettami sulla possibilità da parte degli uomini di sposare quattro donne. In questi casi, come in altri, il padre greco dimostra di conoscere il testo coranico approfonditamente, nominando le diverse sure che lo compongono e dimostrando ora le infondatezze ora le assurdità (così come lui stesso le definisce) delle norme ivi indicate.

Da questo primo sguardo ravvicinato a uno dei testimoni più cronologicamente vicini alla nascita dell’Islam, si avverte la vena elenctica del Damasceno, propria del messaggio evangelico. Così come gli apologisti dei primi secoli adottarono una postura difensiva, polemica e persuasiva nei confronti dei detrattori della fede cristiana, allo stesso modo l’ultimo padre greco ritenne necessario difendere la fede ricevuta, polemizzare contro la neonata religione e al contempo persuadere gli stessi musulmani dell’erroneità del loro pensiero rispetto al messaggio del Vangelo, unica vera via per conoscere il Dio trino, il suo piano per l’umanità e comprendere la realtà.   

(continua)

Della stessa serie: 

Evangelici e Islam (I). Per i cattolici siamo “tutti fratelli”, per gli evangelici?” (9/07/24) 


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