Evangelici e media (III). La chiesa della parola nell’era della multimedialità

 
 

Dietro e dentro la comunicazione c’è sempre un credo e la tecnologia non è neutrale. Questo è il primo punto fermo che ha condotto le Giornate teologiche 2024 su “Evangelici e media”. Gli altri due punti fermi sono: tutta la tecnologia è di Dio e anche la tecnologia è corrotta dal peccato. Ciò deve nutrire la vigilanza cristiana nei confronti delle “sirene” digitali.  

All’interno delle GT, una sessione dedicata al dialogo con altri mondi culturali ha avuto come titolo: “Confessioni religiose e media: prospettive a confronto”, in cui Lorenzo Voltolin (Facoltà teologica del Triveneto) e Nazzareno Ulfo (Alfa e Omega) hanno commentato due documenti, uno di area cattolica e l’altro evangelicale, che illustrano gli atteggiamenti delle rispettive comunità di fede rispetto al tema dei social media e, più in generale, dell’approccio digitale.[1]

  

Per Voltolin, che il magistero cattolico si metta a considerare sfide e opportunità del digitale, è un bel passo avanti rispetto all’italiano medio molto più diffidente, pur lasciando trasparire una certa preoccupazione per i rischi delle nuove tecnologie. La sua tesi è che il digitale è più coerente con l’umano, rispetto alla “vecchia“ scrittura, perché è multimediale, cioè mette in moto più sensi contemporaneamente: iconico, sonoro, tattile ecc., come accade nella realtà aumentata, un'esperienza interattiva che potenzia il mondo reale con informazioni percettive generate da computer (utilizzando software, app e hardware come gli occhiali AR).

Non bisogna correre il rischio di pensare che l’umano “funzioni” a compartimenti stagni, in cui mente, anima e corpo non sono intimamente connessi e in cui la percezione non è il risultato della loro complessa e simultanea interazione. Inoltre, in questa lettura si può fraintendere anche la realtà del linguaggio verbale, orale e scritto. Come facoltà tipicamente umana, il linguaggio è intimamente legato sia al corpo sia alla mente, concorre alla strutturazione del pensiero, così come allo sviluppo della comunicazione, alla espressione motoria e al controllo delle emozioni.

Il secondo documento, quello evangelicale, è stato introdotto da Nazzareno Ulfo, partendo dall’assunto che la chiesa è chiamata a coniugare, cioè a tenere insieme gli aspetti dottrinali e confessionali con le pratiche reali nella vita quotidiana di fede: credere e appartenere, proclamare e servire, io e noi, creatività e obbedienza. Alla luce di questa coniugazione virtuosa, Ulfo ha analizzato l’impatto del digitale sulle nostre vite e pratiche ecclesiali, che non è episodico o estemporaneo, ma ecologico, ovvero fa parte dell’ambiente di vita di ognuno e di tutto il sistema. Non “usiamo” il digitale, ma lo respiriamo e ne siamo intrisi. Spesso ne siamo trasformati senza accorgercene. Questo significa ecologico.  

Come è stata trasformata la nostra partecipazione alla vita della chiesa, il progetto ecclesiale e la sua direzione, i contenuti della nostra fede e la loro comunicazione? Queste sono domande importanti alle quali si sta cominciando a rispondere, senza chiusure pregiudiziali o aperture indiscriminate, ma esercitando un discernimento disciplinato. Possiamo contare sulla presenza di Gesù “dove due o tre sono riuniti” nel suo nome via Meet o Zoom, a quali condizioni possiamo contare su questa promessa? L’uso esclusivo o prevalente di tali mezzi favorisce la nascita e lo sviluppo della chiesa? 

Infatti, sebbene ci siano negli ambienti digitali caratteristiche compatibili, ce ne sono altre più problematiche. Non si nega che la tecnologia è stata di aiuto in tempo di Covid, e anche prima e dopo la pandemia le chiese hanno goduto dei vantaggi del digitale. I credenti evangelici hanno la Parola al centro e il suo contenuto è più importante del mezzo con cui è proclamata; ma gli elementi dell’appartenere, dell’ubbidire e del servire, la lealtà, l’amore e tutti gli aspetti concreti della fede diventano problematici, se hanno il digitale come medium. Per non parlare del livellamento dei ruoli e dei ministeri, che on line tendono ad appiattirsi. Tutto ciò rischia di promuovere un discepolato senza professione, un ascolto senza ubbidienza e via dicendo.  

In ultima analisi, Ulfo ha ribadito che la chiesa evangelica è la chiesa della Parola, molto più che dell’immagine, e richiama a un sano realismo nell’utilizzo prudente e saggio del proprio tempo on line.  

In conclusione, i due documenti presentano molte analogie e significative differenze. Le analogie riguardano le sfide e le opportunità che si pongono a entrambe le realtà confessionali. Le differenze riguardano il modo di intendere la natura della fede e della chiesa. Si usano le stesse parole, ma si fa riferimento a mondi diversi. In fondo, ciò che mi è sembrato un po’ sottotraccia è il rapporto con la sacra Scrittura. Possiamo usare tutti i mezzi a nostra disposizione e inventarne anche di più potenti ed avveniristici, ma resta il fatto che Dio ha parlato in molti modi e molte maniere e, in modo definitivo, in Gesù Cristo incarnato di cui la Scrittura è testimonianza veritiera e autorevole. Ha usato la parola per creare, per chiamare, per promettere, per giudicare e per salvare. La fede una volta per sempre tramandata ai santi è depositata nei 66 libri che costituiscono la Bibbia, e questa rivelazione speciale di Dio agli uomini è necessaria e sufficiente per la salvezza di ognuno che crede.   

 

Della stessa serie:

Giosuè Bua, “Evangelici e media (I). Abitiamo il mondo dei media in modo cristiano?” (11/9/2024)
Isabella Savino, “Evangelici e media (II). L’esperienza spagnola ed europea di “Evangelical Focus”

[1] Dicastero per la comunicazione, Verso una piena presenza, Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media (2023); Movimento di Losanna, Essere chiesa nell’era digitale (LOP 68).