Evangelici e media (IV). Esperienze evangeliche italiane nei media

 
 

In una “Nota per una storia delle riviste evangeliche in Italia (1978-1998)” pubblicata su Studi di teologia N. 20 (1998) si notava che molte iniziative editoriali evangeliche fossero nate e morte nel giro di pochi anni. Il tasso di mortalità di riviste, fogli e giornali evangelici era altissimo. Il dato riguardava 25 anni fa, ma cosa è cambiato nel mondo evangelico italiano? Sicuramente, con l’avvento del digitale, è cambiato molto: ma si è modificata la tenuta e la qualità delle iniziative evangeliche nel campo dei media?

Questi e altri interrogativi hanno fatto da sfondo alla sessione delle Giornate teologiche all'IFED di Padova su "Esperienze evangeliche nei media: storie, sfide, processi in corso" a cui hanno partecipato il Notiziario ADI (NADI), presentato da Calogero Sorce (suo direttore) e Loci Communes (LC), presentato da Liberato Vitale (membro di redazione). Sono solo due esperienze in corso, la cui storia e le cui prospettive destano qualche interesse.

Il primo nasce nel 2014 per mano del Dipartimento Media Radio Televisione delle Assemblee di Dio in Italia. Organo di informazione evangelica, si avvale inizialmente di broadcast su network radiofonici per poi transitare sul canale streaming fino alla creazione di un'app. La redazione, costituita anche da professionisti, ha creato 320 numeri in modalità mista sino a oggi (circa un notiziario a settimana) e ha anche svolto servizi redazionali di eventi.

Il secondo, LC, è un progetto dell'Istituto di Cultura Evangelica e Documentazione di Roma, che nasce come webzine di cultura evangelica nel 2020. Oggi pubblica 5 articoli a settimana, ritmo che ha costruito nel tempo, avvalendosi di un numero crescente di collaboratori e collaboratrici e pubblicando sia sul proprio sito, sia in formati più adatti ai social. Privilegiando esclusivamente la modalità di lettura, sono oltre mille gli articoli sin qui pubblicati.

Le storie, i media e i target sono diversi fra i due organi di informazione. NADI ha visto una partenza scoppiettante e poi dal terzo anno un'inversione di tendenza fino al settimo anno in cui si è potuto rivedere una ripresa consistente. L’adattamento ai cambiamenti del mercato dell’informazione multimediale e le mutevoli dinamiche di gruppo hanno portato a rivedere il prodotto pur mantenendo gli obiettivi iniziali.

LC è proceduto in modo diverso, più graduale, dipendendo da articoli di commento culturale scritti da volontari che, secondo il proprio dominio di conoscenza, s'impegnano ad attivare uno sguardo evangelico sulla realtà in un'ottica di teologia pubblica. La readership che si è costituita non è esclusivamente evangelica.

Ora, al di là delle diverse storie, forse alcuni degli aspetti che sono utili da trattenere e su cui la riflessione resta aperta sono le sfide e i processi in corso. In ambito evangelico italiano (spesso segnato da scarse disponibilità di risorse economiche e umane), il ritmo di nascita e morte di imprese di questo tipo è pressoché costante. Tanti soggetti entrano nell'arena, quanti ne escono, e in tempi relativamente rapidi. Non è sufficiente quindi, solo una spiccata identità redazionale se questa non è accompagnata da budget realistici e prospettive di sostenibilità a medio-lungo termine.

Per una realtà evangelica che si cimenta con la comunicazione pubblica, è necessaria, sì, un'adeguata conoscenza della comunicazione in sé e, sì, anche di un’adeguata consapevolezza di uno specifico settore della realtà ma anche e soprattutto una formazione approfondita (benché non necessariamente accademica) della visione del mondo biblica.

Quello della formazione resta un tema aperto perché senza un'adeguata formazione non c'è una critica profonda all'attualità e alla cultura né una prospettiva palpabile e fruibile da trasmettere, non ci sono semi di rinnovamento (interno ed esterno) da piantare. LC in questo senso si è prefissato di essere una palestra di teologia pubblica, dove testare le categorie culturali evangeliche su questioni reali e dimostrarne la pertinenza. Ma ha anche l'obiettivo di essere un cantiere per possibili vocazioni: cimentarsi vuol dire testare anche possibili vocazioni sin qui inespresse, messe al servizio non solo della comunità credente, ma anche della più ampia società in cui si vive.

Un altro aspetto emerso è la tensione esistente fra identità e rappresentazione. Spiegandosi meglio: ogni redazione cercherà di definire nel modo più chiaro possibile la propria identità editoriale. Ma poi ci si deve misurare con il cosa dire a chi e di chi. Si può avere una chiara identità editoriale, ma quando si entra nell'arena pubblica è possibile puntare a una readership circoscritta esclusivamente a chi è pienamente allineato alla propria identità editorial-confessionale? Ovviamente la risposta è no, o almeno dovrebbe essere no. E questo passa non solo attraverso il superamento di un linguaggio tribale (vedi la formazione), ma anche attraverso politiche redazionali che non si limitino a rappresentare solamente la propria identità ma anche a invitare anche altre identità evangeliche a essere rappresentate in un'ottica di maggior consapevolezza del popolo evangelico. E anche questo è fare informazione e cultura nei media, in un mondo che guarda.

Della stessa serie:

Giosuè Bua, “Evangelici e media (I). Abitiamo il mondo dei media in modo cristiano?” (11/9/2024)

Isabella Savino, “Evangelici e media (II). L’esperienza spagnola ed europea di “Evangelical Focus”

Lidia Goldoni, “Evangelici e media (III). La chiesa della parola nell’era della multimedialità”