Mortificazione del peccato? In ascolto del puritano John Owen

 
 

Il linguaggio della mortificazione è ostico e controculturale: chi vuole morire e far morire qualcosa di sé? Semmai vogliamo tutti essere affermati e semmai magnificati. Dunque, per avvicinarsi a questo titolo puritano bisogna subito fare un esercizio coraggioso, ma che vale la pena di essere fatto.

Dopo il trattato sulla tentazione, l’editrice Alfa&Omega ci regala un altro scritto del puritano John Owen (1615-1683) e cioè La mortificazione del peccato. Necessità, natura e modalità (2024). Il libro si compone di 14 brevi capitoletti e il testo biblico su cui Owen basa la sua opera è Romani 8,13: “Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete; infatti, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio”

Fondando il suo discorso sulle parole dell’apostolo Paolo, Owen dice che la santità passa anche dall’azione che mortifica il peccato. Non fuggire dal peccato, ma mortificarlo! Non conviverci, ma impoverirlo! Non tollerarlo, ma farlo morire! Il suo obiettivo è quello di “proporre quale dovere costante dei credenti la mortificazione del peccato residuo insito nel nostro corpo mortale, affinché non abbia più vita né capacità di generare azioni e opere della carne” (p.26). 

La concupiscenza è un “inquilino” difficile da sfrattare se non viene uccisa ogni giorno. Il peccato è caratterizzato da tenacia e, se resta a lungo nel cuore, “provoca all’anima una condizione deplorevole” (p.88).

Quella della mortificazione del peccato è una disciplina spirituale necessaria. Il punto di non ritorno è quando ignoriamo la concupiscenza e “anziché cercare il perdono di quel peccato nel sangue di Cristo e la sua mortificazione per mezzo dello Spirito Santo, noi ci consoleremo con una qualsiasi altra prova, vera o presunta, per svincolarci dal giogo che Dio voleva metterci al collo, ciò significa che la nostra condizione è davvero pericolosa e la nostra piaga difficilmente curabile” (p.90).

Owen mette in guardia dalla frequenza con cui il peccato riesce a guadagnarsi spazio nei nostri cuori e a trovare assenso dalla nostra volontà, di fatto manipolandola e distogliendola dalla percezione della colpa. Il cuore del credente deve essere vigile per cogliere ogni opportunità per prevalere sul peccato e cogliere ogni aiuto per la sua distruzione (p.114). 

Owen è ben consapevole che a causa della caduta “cioè della corruzione originale della nostra natura” (p.115) lo stimolo e il nutrimento di ogni peccato risiedono nel temperamento naturale. Tutto ciò costituisce un grande vantaggio per il peccato. Per questo Owen parla di mortificare il peccato, guardando così a ciò che Paolo dice in 1 Corinzi 9,27 e cioè “tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù”. Il nostro cuore è insanabilmente maligno e i credenti devono essere equipaggiati a praticare tra le discipline spirituali la mortificazione del peccato, perché anche la sottomissione del corpo, della mente e del cuore sono parte dell’ubbidienza alla fede in Cristo. 

Contrastando l’insegnamento cattolico, che mette tutto l’accento sui meriti, sulle pratiche volontarie, sulle penitenze o altro perché non considerano il sacrificio di Cristo, Owen guarda piuttosto a discipline come la preghiera, digiuni, ogni tipo di protezione per non cadere nel peccato e nella concupiscenza non come virtuosi di per sé, ma piuttosto considerate come modi utili attraverso cui lo Spirito Santo agisce. Se non si capisce questo, si dà vita “ad una mortificazione più adatta ai cavalli e ad altre bestie dei campi che non ai credenti” (p.116). La mortificazione non è meritoria e non è “eroica”: è la disciplina della santificazione per diventare cristiani maturi e plasmati da Dio.  

Si tratta di un breve ma densissimo trattato di teologia, in cui Owen descrive come la mortificazione del peccato è una pratica possibile per ogni credente. Una sana vita cristiana, volta alla santità e alla maturità nella fede, passa anche nel combattere il peccato presente nel cuore. 

La teologia puritana della mortificazione può sembrare controculturale rispetto alle pulsioni che solleticano l’affermazione di sé. Eppure, per capire e sperimentare qualcosa della vita cristiana, non c’è altra strada se non la mortificazione del peccato. Altre strade sembrano larghe e spaziose, ma sono precipizi verso l’abisso. La mortificazione, al contrario, sembra retrograda e bigotta, ma è liberante e forgia il carattere cristiano.