“Una fede basata sui sentimenti”, il cuore malato del liberalismo teologico
"I fatti sono fatti non importano i tuoi sentimenti..". Oppure: "Per me ciò che provo è più importante, sono i miei sentimenti a guidarmi e fare ciò che ritengo giusto". Chi non ha mai sentito o sostenuto queste affermazioni?
È vero che i fatti non hanno nulla a che fare con i nostri sentimenti, o viceversa? Friedrich Schleiermacher, il padre della teologia liberale, nel suo famoso Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano del 1799, scrisse che le sue convinzioni non "nascono da una decisione razionale... ma è l'intima irresistibile necessità della mia natura".
Rispetto alla fede ciò che vale è "l'intuizione... il sentimento e gusto per l’infinito", che si coglie sia nella nostra anima, ma anche in ogni singola cosa finita. Per Schleiermacher esiste un 'realismo superiore' che non fissa lo sguardo al finito, bensì lo intuisce sentimentalmente, non intellettualmente.
Questo 'realismo superiore' è il punto di partenza verso l’infinito che comprende ed esige molteplici punti di vista e variegate interpretazioni, soprattutto religiose.
Per Schleiermacher esiste una sola ed "eterna e infinita religione" che si presenta in tante "religioni positive", chiamate a dialogare verso la comune e suprema unità; l’infinito. Chi pretende di possedere ciò che altri non hanno, s’illude ed è settario: base di ogni egoismo, uniformità, violenza e idolatria.
In altre parole, secondo Schleiermacher la vera religione non si basa su credenze, ma si esprime correttamente quando i cristiani sentono di stare sperimentando l'infinito. Quindi, è l'esperienza che trionfa sulla fede rivelata.
La teologia di Schleiermacher ha poi spalancato le porte al soggettivismo e scetticismo verso ogni affermazione finale della verità. "Ogni persona può cercare la religione in una forma che sia congeniale al germoglio dormiente che giace in lui". E' un modo "romantico" di dire che la fede può assumere forme diverse a seconda della persona, per cui ogni standard concordato di verità ed errore, o fatti e finzione può variare da individuo a individuo.
Poiché questa è "l'aria" che si respira ovunque e ogni giorno, non sorprende che ci sia confusione e seri interrogativi sul ruolo e sulla relazione tra i fatti e i sentimenti. Con quali conseguenze? Spesso, quando i fatti ci dicono cose diverse da ciò che desideriamo, preferiamo affidarci ai nostri sentimenti.
Questo non è un fenomeno inusuale, è molto frequente, solitamente si cerca di non vedere quello che non ci piace, ciò crea una percezione tendenziosa, direi un abuso di soggettività. Chi crede di sapere cosa sia utile, partirà sempre da se stesso e si affiderà del suo punto di vista.
Il 'realismo superiore' di Schleiermacher ha portato le persone a vedersi come i cartografi del XVI secolo quando disegnavano l’Africa. Sì, vedevamo che lì c’era un continente ma, per i particolari, le loro carte non furono molto utili.
Paul Ricoeur aveva ragione quando disse che la nostra società vive "una bulimia di informazione e un'anoressia di principi". In altre parole, il tanto sapere non fa altro che aumentare il disorientamento. Questa necessità, probabilmente, risponde al bisogno di protezione; d'altra parte, si sa che le indebite generalizzazioni diventano distorsioni culturali.
Se da un lato i fatti (i dati oggettivi) da soli sono lo specchio della realtà, dall'altro non possono mai rimanere soli. In una società dove regna l'ermeneutica del dubbio, la fede cristiana può affermare che i fatti presentati nella Scrittura sono lì anche per evocare sentimenti di dipendenza e di gioia in Dio per mezzo di Cristo.
A differenza dello scetticismo di Schleiermacher, stare dalla parte del Dio di verità significa essere certi che "in lui non ci sono tenebre" (1Gv 1,5), né "variazione né ombra di mutamento" (Gc 1,17). Quindi, possiamo essere certi che le Sue opere sono fatti veri, e davanti a decisioni di importanza eterna, nessuno è lasciato a un giudizio soggettivo.
A Pentecoste, quando Pietro proclamò il fatto incontestabile che Gesù era stato crocifisso, e che era davvero il Figlio di Dio, "molti furono compunti nel cuore". I fatti suscitarono dei sentimenti così reali che chiesero a Pietro "che dobbiamo fare?". L'unica risposta appropriata era "ravvedetevi" (At 2,38).
Quando Paolo afferma: "Sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo" (Ro 3,4), vuol dire che Dio è lo standard della verità, tutto ciò che è in accordo con la sua verità è un fatto. Dio ha rivelato i fatti nella sua Parola per spingerci a riconoscerlo e adorarlo.
Ogni teologia che separa i fatti dai sentimenti è una falsa teologia. Nessuno sentirà di abbandonare l'ermeneutica del dubbio, a meno che non sia disposto ad accettare come veri i fatti rivelati nella Scrittura.
La differenza tra i sentimenti che suscita la fede cristiana e quelli descritti da Schleiermacher sta nel fatto che mentre i primi sono radicati nei fatti (anche se questi fatti vanno oltre la nostra esperienza diretta), i secondi sono il riflesso di una "intuizione per l’infinito che l'animo umano riesce a cogliere".
In tal caso, i fatti e i sentimenti non potranno dialogare, daranno due messaggi diversi a vantaggio del regime del dubbio e dell'incertezza costante.
Nella complessità di oggi dove tutto può essere vero o falso, quale aiuto può darci Schleiermacher quando dice che, prima dei fatti, vengono le nostre intuizioni e la nostra esperienza? E se la tua esperienza fosse solo sofferenza e disperazione come ne esci? A chi ti rivolgi quando hai bisogno di vera speranza? Solo a te stesso può bastare?