Il futuro del movimento ecumenico? Le perplessità di Ioan Sauca, ex-segretario del CEC

 
 

Dove sta andando il movimento ecumenico? Sotto papa Ratzinger c’era chi parlava di “inverno ecumenico”. Sotto Francesco c’è chi si è spinto a evocare una “primavera”. Insomma, in quale stagione siamo e cosa si prospetta per il futuro? L’occasione per ascoltare cosa bolle in pentola nella dirigenza del movimento ecumenico è stata data da un conferenza dal titolo “Quale futuro per il movimento ecumenico?” tenuta il 23 febbraio 2023 tenuta all’università di Friburgo (Svizzera) da Ioan Sauca, romeno ortodosso, per 28 anni impegnato nell’ecumenismo come professore poi dirigente, infine segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) dal 2020 al 2022. Il CEC raggruppa le chiese ortodosse e quelle del protestantesimo storico e, insieme alla Chiesa cattolica romana e all’Alleanza Evangelica Mondiale, è uno degli attori dello scenario cristiano globale contemporaneo.

Dop aver ripercorso il suo itinerario biografico nell’ecumenismo, Sauca ha offerto un’analisi della situazione attuale. In generale, l’ecumenismo istituzionale è in crisi. I dialoghi pluridecennali non hanno portato a risultati apprezzabili sul piano dottrinale, ordinamentale ed istituzionale. Essi hanno sì alimentato uno spirito collaborativo tra agenzie religiose che, coltivando rapporti amichevoli, mantengono le distanze tra loro. Non c’è l’aspirazione all’unità ma alla co-esistenza tra diversi. Non era questo il sogno ecumenico del CEC. Oggi non si parla più di “unità” in senso denso ma di “comunione” (koinonia) intesa in senso elastico, non impegnativo, revocabile, funzionale a progetti. Non è la comunione sacramentale che interessa più di tanto, quanto la collaborazione pratica che non implica impegni forti. Anzi, dice Sauca, il discorso sull’unità promosso per decenni è oggi visto come macchiato da un’ideologia occidentale di dominio, imperialistico e perciò bisognoso di essere sostituito da un senso di fraternità non basato su accordi dottrinali e non finalizzato a costruire reti gerarchiche.

Il centro dell’impegno ecumenico si è spostato dalla dottrina ai temi dell’ambiente, della pace, della giustizia, dello sviluppo sostenibile. Inoltre, dice Sauca, molte iniziative ecumeniche si sono trasformate in attività inter-religiose. Il discrimine cristiano è saltato e ha abbracciato tutte le religioni. I consigli locali delle chiese cristiane si sono spesso trasformati in assemblee inter-religiose. 

Inoltre, la forte concentrazione cristocentrica dei documenti dei primi decenni del movimento ecumenico è stata aperta ad istanza pneumatologiche per indicare il superamento dell’esclusivismo della salvezza. Cristo è stato visto come portatore di esclusione dei non cristiani, mentre lo Spirito è visto come inclusivo di tutti. Nell’ecumenismo attuale è impensabile non riconoscere a tutte le religioni valore salvifico e non attribuire a tutte le verità religiose uguale cittadinanza. 

Tra le righe del discorso, si capisce che Sauca esprima qualche malcelata perplessità. Il movimento ecumenico ha subito una sorta di cambiamento genetico e non è chiaro cosa diventerà in futuro. 

Leggendo la conferenza con occhi evangelici, si possono fare due annotazioni a margine. Da un lato, quello che Sauca dice del CEC, è pari pari osservabile nell’impegno ecumenico cattolico di papa Francesco. Anche il papa ha decentrato la teologia, elevando le cose che si fanno insieme a principale forma di cammino comune. Anche il papa non parla di unità istituzionale compiuta, ma di “poliedro” dove tutti sono collegati agli altri in modi diversi. Anche il papa parla di “fratelli tutti” (cristiani, musulmani, buddisti, ecc.) e di fratellanza universale come piattaforma comune. Anche il papa si concentra sui temi ambientali e sociali. Insomma, le osservazioni di Sauca sul CEC potrebbero facilmente essere trasferite anche all’ecumenismo cattolico. C’è una sintonia quasi perfetta tra le tendenze del CEC e quelle del papa romano regnante.

D’altro lato, il discorso di Sauca dovrebbe essere letto da tutti quegli evangelici che sono attratti dal movimento ecumenico, vuoi per ragioni di visibilità o di accreditamento di qualche tipo. L’analisi di Sauca (che è interno al CEC) mostra quanto la traiettoria dell’ecumenismo abbia preso una strada che si allontana dai fondamenti biblici dell’unità cristiana. Chi si avvicina al CEC oggi ha a che fare con un treno che va verso l’indifferentismo dottrinale, l’universalismo della salvezza, il neo-liberalismo teologico e la pan-religione globale. E’ questa l’unità per cui il Signore ha pregato e per cui ha dato la sua vita? No. Oggi più di ieri, l’unità evangelica deve coltivare una progettualità propria che è distinta e distante da quella ecumenica, sia nella sua versione CEC, sia nella sua versione cattolico-romana.