La teologia di Losanna 4 (II). La cornice evangelica della Dichiarazione di Seoul
Il Movimento di Losanna è conosciuto anche per i suoi documenti: il Patto di Losanna (1974), il Manifesto di Manila (1989), l’Impegno di Città del Capo (2010).[1] Sono testi che hanno codificato l’humus spirituale dei congressi e che costituiscono uno dei patrimoni costruiti dal Movimento. Nati come documenti missiologici, hanno assunto anche caratteristiche di moderne confessioni di fede. Il Patto di Losanna, soprattutto, è riconosciuto come documento confessionale da molte opere e agenzie evangeliche nel mondo perché cattura il “comun sentire” evangelico sui temi dell’evangelo e della missione nel mondo. Hannes Wiher ne ha recentemente parlato come di un testo di “identificazione evangelica”.[2] Sin qui, ogni congresso di Losanna ha prodotto un proprio documento, sempre più lungo e articolato del precedente.
Losanna 4 ha fatto una cosa simile e diversa allo stesso tempo. Il primo giorno del congresso è stata resa nota la “Dichiarazione di Seoul” (DS), un testo relativamente breve di 13.000 parole. Essa presenta due caratteristiche fondamentali:
è stato redatto da un gruppo di lavoro che ha fatto sintesi del processo di ascolto di incontri di Losanna in giro per il mondo negli ultimi anni. In altre parole, non è frutto del congresso, ma è un contributo al congresso.
Al contrario dei tre precedenti documenti di Losanna, la DS non vuole essere un testo a sé stante, ma un prolungamento aggiornato dei primi tre che si sofferma in particolare su alcune questioni che sono emerse nell’ascolto. In altre parole, va letto insieme agli altri tre e non aspettandosi che ridica tutto quello che Losanna, Manila e Città del Capo hanno già detto. Ha natura più occasionale e limitata dei primi tre.
Ciò detto, DS individua sette temi da considerare per la chiesa evangelica globale in missione:
la teologia biblica dell’evangelo,
l’alta concezione della Scrittura,
una robusta visione della chiesa e un autentico vissuto ecclesiale,
la prospettiva sull’identità umana con particolare riferimento alla sessualità,
la sfida del discepolato,
i conflitti globali,
la tecnologia.
È una lista composita ed eterogenea, fatta di temi teologici (vangelo, Scrittura), ecclesiologici (chiesa e discepolato), antropologici (identità umana), globali (conflitti) e culturali (tecnologia). In ogni caso, per la DS questi sono i temi emersi nelle conversazioni allargate che il Movimento ha raccolto.
Pur non avendo ambizioni di rimpiazzare il Patto di Losanna, è apprezzabile che DS parta dall’evangelo biblico e dalla Scrittura. Qualunque siano le istanze specifiche su cui l’attenzione evangelica deve soffermarsi, è bene che il richiamo all’evangelo e l’impegno nei confronti della Bibbia siano sempre esplicitati. Non è mai ridondante né ripetitivo richiamare la cornice evangelica del discorso che si fa. Mentre è giusto soffermarsi sulle questioni specifiche e sulle aree critiche per far avanzare la missione nel mondo (e Losanna ha individuato ben 25 “gaps”, zone scoperte e bisognose di attenzione), esse vanno sempre pensate come organicamente collegate al cuore dell’impegno evangelico.
Nel capitolo sull’evangelo, DS ricapitola la storia della creazione, seguita dalla rottura del peccato, da subito attraversata dalla redenzione annunciata, prefigurata e realizzata in Cristo di cui aspettiamo la seconda venuta cui segue il compimento di tutto il disegno di Dio. La chiesa è la comunità di persone che ha ricevuto la salvezza ed è incaricata di testimoniarne in parole ed opere. In questa trama biblica e trinitaria, DS richiama due pilastri della confessione evangelica: l’espiazione sostitutiva e la propiziazione di Gesù Cristo alla croce (art. 12) e la dichiarazione di giustizia che i credenti hanno ricevuto per fede in Cristo: “per fede … siamo dichiarati giusti dalla giustizia di Colui che è risorto” (art. 14).
Non è usata l’espressione “giustificazione per fede”, ma il senso c’è. Inoltre, non c’è un riferimento a “per fede soltanto” o “solo per fede” che avrebbe ancor più ancorato l’articolo alla fede evangelica classica, differenziandolo anche da letture ecumeniche e cattoliche della giustificazione. La chiave di lettura privilegiata dell’opera della salvezza è quella della trasformazione e del rinnovamento di tutto. Anche qui, mentre c’è un esplicito collegamento all’eredità biblica e protestante grazie all’espiazione e alla giustificazione, l’accento cade sul linguaggio del cambiamento. L’evangelo è visto primariamente come l’irruzione della “nuova creazione”.
Nel capitolo sulla Scrittura, DS dichiara sulla scia del Patto di Losanna che la Bibbia è “la norma suprema per la vita della chiesa” (art. 17) in quanto Parola ispirata da Dio. Si dice anche che la Bibbia “non erra”: un benvenuto riferimento alla “‘inerranza” della Scrittura che l’Impegno di Città del Capo non conteneva. L’enfasi del capitolo, tuttavia, non è sullo statuto della Bibbia quanto sull’interpretazione: un compito che era forse dato per scontato o implicito nei precedenti documenti di Losanna e che invece occupa la gran parte di questa sezione di DS. Per leggere la Bibbia in modo evangelico, insiste DS, bisogna farsi guidare dallo Spirito Santo (che l’ha ispirata), onorare i contesti specifici dei testi (leggi: i generi letterari) e farlo nella compagnia di comunità locali di credenti. E’ evidente il pericolo avvertito di una interpretazione senza preghiera e dipendenza da Dio, avulsa dal modo in cui la Bibbia si auto-presenta e isolata rispetto alla chiesa in quanto comunità interpretativa.
Un’attenzione insolita per un documento evangelico è il richiamo alla “tradizione”. L’interpretazione della Bibbia è un esercizio costante della chiesa storica e, dunque, anche per gli evangelici di oggi la voce del passato va tenuta in considerazione. Qui si vuole rispondere al rischio di leggere la Scrittura in modo appiattito al qui e ora, perdendo di vista la sapienza contenuta nelle letture storiche della chiesa che formano la tradizione. Il fatto che la Bibbia sia riconosciuta giustamente come “la norma suprema” mette al riparo dall’elevare la tradizione a voce accanto o addirittura sopra la Scrittura.
In altri termini, DS è consapevole del fatto che non basta avere un’alta dottrina della Scrittura per leggerla responsabilmente, interpretarla correttamente e viverla bene. Se gli evangelici sono stati storicamente i difensori della ispirazione plenaria e della suprema autorità della Bibbia, ciò non li ha messi al riparo da performance di lettura al di sotto di queste nobili premesse. DS vuole incoraggiare gli evangelici a mantenere un’alta concezione della Bibbia in quanto Parola di Dio ispirata, ma anche a leggerla e viverla in modo fedele e coerente.
(continua)
Della stessa serie:
“La teologia di Losanna 4 (I). Il riposizionamento di accenti” (4/10/2024)
[1] Questi e molti altri testi emersi dal Movimento di Losanna sono consultabili in Dichiarazioni evangeliche I, a cura di Pietro Bolognesi, Bologna, EDB 1997 e Dichiarazioni evangeliche II, a cura di Pietro Bolognesi, Bologna, EDB 2018.
[2] H. Wiher, “50 Years of the Lausanne Movement”, Evangelical Review of Theology 48/3 (2024) p. 206.